Che siate maledetti…(2 agosto 1980, ore 10,25)

agostoChe siate maledetti, autori materiali, mandanti, politici e magistrati corrotti  o inetti che avete impedito e impedite che la verità sia svelata.
Che siate maledetti, faccendieri diabolici che sempre mescolate e rimescolate le vite degli altri.
Che siate maledetti voi che avete ferito a morte la mia città.

Vorrei che il peso di quegli ottantacinque morti vi schiacciasse ogni giorno di più, che si centuplicasse, che perseguitasse ogni minuto della vostra esistenza.
E che andasse anche oltre.
Nell’eternità.

Aveva le treccine, o i “codini”, non ricordo bene. Ricordo le sue lentiggini, però, che le adornavano graziosamente la pelle candida del viso, e ricordo che portava gli occhiali, e il colore dei suoi capelli, ricordo, un biondo tendente al ramato scuro.
Era un po’ più grande di noi, Mirella.  Aveva due anni più di me. E si sa, quando si hanno sette, otto anni, anche due soli anni in più fanno la differenza.
Nei caldi pomeriggi estivi, quando il sole arroventava il cortile, o quando scoppiava un temporale improvviso, noi bambini ci rifugiavamo nelle scale del condominio. Ci sedevamo sui gradini, davanti alle porte degli appartamenti dove Mirella e io abitavamo, e lei cominciava a raccontarci storie. Noi piccoli l’ascoltavamo attenti. Per lo più erano storie di fantasmi. Ci andavamo a nozze, con quelle storie…Eravamo deliziati dai brividi di paura che attraversavano i nostri corpi.. Lei, poi, sapeva raccontarle così bene, con la sua aria di mammina seria seria… Ne ricordo una che narrava di una ragazza, e del suo vestito viola macchiato di caffè.  Da più grande, poi, l’ho sentita raccontare ancora, questa sorta di leggenda metropolitana. Ma era tutta un’altra cosa.
Quei pomeriggi, quei momenti delle magiche estati della mia infanzia mi sono rimasti in mente a lungo. E me li raffiguro ancora: Mirella seduta sul gradino più alto e noi praticamente accovacciati ai suoi piedi, gli occhi spalancati, la bocca socchiusa. Noi, i piccoli, lì ad ascoltare, immobili.

Poi cambiai casa, e di Mirella non seppi più nulla.
Fino a quel terribile agosto di ventisette anni fa, quando i giornali pubblicarono i nomi delle vittime della strage di Bologna.
Perché Mirella, come me, come tutti quei bimbi di quelle estati sui gradini era diventata adulta. Aveva un lavoro, Mirella. Proprio lì, accanto alla sala d’aspetto di seconda classe, accanto al luogo dove il 2 agosto 1980 si scatenò e si diramò l’inferno. Dipendente del bar ristorante della stazione centrale di Bologna, questo era il suo lavoro.
Chissà come era diventata, Mirella? Chissà come sarebbe, oggi? Forse a raccontare le sue vecchie storie a qualche nipotino affascinato…
Questo no, non sarebbe possibile.
Mirella è ora un nome inciso nel marmo della lapide posta  in quella sala d’aspetto. Sta insieme a Angela Fresu (di anni tre) e Antonio Montanari (di anni 86). Sta insieme ad altre 83 persone, vite spezzate da una criminalità oscena.  Spezzate due volte, poi, visto come sono andati i processi.
Ma non voglio dire una parola sull’andamento e gli esiti degli interminabili processi che si sono svolti in questo nostro Paese burla. Ne hanno parlato tanto i giornali, in tutti questi anni, e senza dubbio molto meglio di quanto possa fare io.
Voglio solo ricordare quelle persone cui è stato tranciato il futuro: i dipendenti della stazione, i tassisti…
E quelle donne, e uomini e bambini che stavano partendo per andarsene in vacanza, con le valigie piene di costumi e asciugamani, e secchielli e palette e olii abbronzanti. L’attesa, la sognata  vacanza. Una ricarica per poter andare avanti un altro anno.
E quelli che finite le vacanze stavano tornando a casa, con la pelle abbronzata dal sole, qualche granello di sabbia intrappolato nella valigia, il regalino comprato all’ultimo momento per la zia Adelina, con la foto ricordo dell’estate 1980 scattata dal fotografo ambulante durante la passeggiata serale.
Persone come noi, come tanti di noi che oggi, 2 agosto 2007, ci accingiamo a fare le stesse cose.
No, non ci può essere alcun perdono.
Che siate maledetti, voi, scippatori di vite.
Angela Fresu, oggi, avrebbe trent’anni.
Che Angela Fresu sia per voi un macigno.

http://it.youtube.com/watch?v=VN8eTBbqyLg

http://www.youtube.com/watch?v=7xCB6-h3wbs

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11 risposte a Che siate maledetti…(2 agosto 1980, ore 10,25)

  1. anonimo ha detto:

    Il due agosto 1980 avevo 19 anni.
    Lo ricordo come un sabato caldo, di sole velato dall’umidità.
    Abitavo con i miei genitori ,mia sorella e i miei nonni paterni
    Mia nonna Ida era paralizzata, non usciva di casa da almeno quindici anni ed il suo contatto con il mondo era una piccola radio a pile, che ascoltava ogni giorno.
    Stavamo giocando a briscola, io e la nonna, non ricordo esattamente che ora fosse.
    Forse poco dopo le 11:00, ricevetti una telefonata da mio zio, che abitava a S. Giovanni in Persiceto: sua moglie aveva preso il treno quella mattina per venire a trovare la nonna e lui aveva sentito in paese che c’era stato qualche problema alla stazione di Bologna. Voleva sapere se era arrivata.
    Ancora però di lei nessuna traccia, ma non ci preoccupammo, perché pensammo che, chiacchierona com’era, forse si era fermata con qualcuno che conosceva nel percorso verso casa nostra.
    Mia nonna accese la radio, il suo appuntamento fisso di tutti i giorni per sapere della vita bolognese era il Gazzettino dell’Emilia Romagna, la sua sigla e soprattutto le voci dei giornalisti mi erano famigliari quasi come le voci dei miei in casa.
    Ricordo dove ero, ricordo che sistemò velocemente la sintonizzazione per ascoltare, ricordo la notizia: c’era stata una fortissima esplosione alla stazione, i soccorsi erano subito arrivati, si trattava probabilmente di una caldaia che era scoppiata.
    Io e la nonna abbiamo ascoltato con attenzione ogni parola, ma fu certamente troppo poco per darci davvero un senso dell’accaduto. Ricordo bene il senso di smarrimento, di sgomento, e soprattutto il sentimento istintivo che fosse accaduto davvero qualcosa di molto grave, che le notizie non rendevano, o per la confusione del momento, ma anche, ci pareva, quasi per una volontà di minimizzare, di ridurre, e già, di spiegare.
    Momenti, i momenti dell’ascolto della voce lievemente gracchiante del giornalista, uomo o donna chissà,non ricordo e poi, ricordo lo sguardo di mia nonna, azzurro e sveglio dietro gli occhiali..
    Brusca come sempre disse “Mocchè caldera, l’è steda una bomba fasesta!”
    Mi son precipitata fuori, a cercare mia zia, non sapevo neppure bene io dove, e l’ho incontrata a pochi passi da casa, aveva incrociato mia madre, si eran fermate al mercato a far la spesa.
    Era arrivata alla stazione verso le 10.00, non sapeva ancora nulla, appena a casa ha chiamato il marito per rassicurarlo. Nessuna notizia in più, fino al TG2 dell’una.
    Ancora, l’ipotesi della caldaia.
    Dopo, non sapevo che fare, andai con la bici che mi avevano regalato i miei per la maturità , verso la stazione c’era un blocco, non si poteva passare.
    Non ricordo rumori, ricordo soltanto un odore di polvere e un senso di totale impotenza, di attesa, non sapevo nulla, sentivo solo che era accaduta una cosa enorme, volevo aiutare, e invece stavo lì, impietrita, ad aspettare qualcosa che mi facesse capire , che mi desse una prima, essenziale, spiegazione.
    Passò l’autobus, ancora non ho altro ricordo se non la polvere e il silenzio, il mio e quello intorno, era come se solo ci fossi io, accanto alla mia bicicletta.
    La consapevolezza dell’offesa, della violenza bieca e cieca, del lutto, mi investì esattamente quando l’autobus mi passò davanti, silenzioso, in un percorso non suo, con tutti i finestrini coperti da lenzuoli bianchi.
    Oggi sono qui con mia figlia, prima di lasciare il foglio su un autobus fratello di quel nr. 37, le ho fatto leggere questo racconto, perché la sfumata , ma contemporaneamente precisa memoria mia, le sia utile e la spinga a alla necessità ed al dovere del ricordo.
    Mescoleremo i ricordi miei ed i suoi, lei che oggi per la prima volta sarà qui, a condividere la corrente unica di volontà di memoria e ad evocare vecchie sensazioni e a farne nascere di nuove, collettive, per un futuro molto prossimo di giustizia.

    Ciao Milvia, questo ricordo l’ho scritto qualche anno fa, da attaccare, come da invito della associazione dei famigliari delle vittime, su un gemello dell’autobus 37.
    Il ricordo mi è fondamentale, ogni anno, oggi. E mi affaccio alla finestra della torre in cui lavoro, ad aguzzare le orecchie, a cercare, inutilmente, il suono della sirena delle 10:25.
    Roberta – Bologna

  2. RenzoMontagnoli ha detto:

    Non ho parole per descrivere quello che si prova nell’essere oggetto del potere, cose di nessun conto in mano a individui della peggior specie.
    Non è solo la strage di Bologna, ma tante sono le tragedie rimaste impunite.
    E’ già un dolore perdere così un proprio caro, ma l’impotenza di poter arrivare alla verità, onde anche evitare simili fatti, è un tormento dei più crudeli.
    Per certo, in alcuni casi, ci si è trincerati dietro il segreto di stato, ma lo stato chi è? Siamo tutti noi, che invece vogliamo sapere, e non i politici da noi eletti e in quanto tali nostri mandatari.
    Non solo non esiste la giustizia, ma non vi è nemmeno democrazia laddove il cittadino, vittima di un fatto gravissimo, chiede e non ha risposta.
    A questo punto non c’è differenza nella responsabilità di ha messo in pratica la strage, di chi l’ha commissionata e di chi insabbia tutto perchè non si venga a conoscere la verità.
    Non ci può essere segreto di fronte a qualche cosa che incide profondamente sul comune interesse.
    Chi sa e non parla è un individuo senza etica e anche a lui farei fare la stessa fine dei mandanti e degli attuatori delle stragi:
    chiusi in un bunker con una bomba ad altissimo potenziale che non si sa quando esploderà e senza la possibilità di poter fuggire.
    Non è cattiveria, la mia, ma è giusto che provino almeno una parte dell’angoscia di chi ha sofferto per le loro trame.

  3. anonimo ha detto:

    quel giorno il cugino di una mia compagna di classe, studente all’Università di Bologna, si trovava verso le 10 alla Stazione proprio in sala di aspetto. Il caso ha voluto che dimenticasse i documenti e che fosse costretto a tornare a casa per prenderli.
    La mia amica mi raccontò che sull’autobus suo cugino cristonò perchè avrebbe perso il treno. Dopo l’esplosione non disse più nulla. Pensa come è strano il destino: se non ti tocca, non ti tocca!
    Elisa

  4. Annalisa55 ha detto:

    Io ero sulla linea Milano-Bologna perché, con un’amica, non ci stavamo sulla macchina della sua famiglia. Abbia deviato per girare verso la Toscana. Siamo arrivate tranquille, senza nemmeno telefonare a casa. Abbiamo saputo tutto alla sera, quando sono arrivati gli altri.

    Questa è Mirella:
    “Mirella era solita prendere le ferie il 1°agosto. Quell’anno aveva deciso di partire con il marito Giorgio soltanto il 12…
    Giorgio, dopo la tragedia, ha ripreso il suo lavoro di artigiano, ma dice di non riuscire più a concentrarsi.

    La suocera, Anna, la ricorda Mirella come una ragazza particolarmente premurosa: “Il giorno prima della tragedia mi aveva portato due regalini. Era rimasta fino a tarda notte a riverniciare tutto l’appartamento. Guardi come è stata brava! Non voleva che io né mio marito ci affaticassimo. Ormai lavorava alla sede della Cigar in via Marconi, ma quel giorno avevano avuto bisogno di lei in stazione.”

    Giorgio la ricorda sempre: “Aveva le calze bianche quando ho cominciato a corteggiarla. Era poco più di una bambina e si voleva far suora. Le feci fare io la Cresima, poco prima di sposarci sedici anni fa. Per due volte ha indossato l’abito bianco. Era come se l’avessi sposata due volte.”

    A dividere il dolore con Giorgio e i nonni c’è Paolo, che aveva tanto sperato (purtroppo invano) che fra i dipendenti della Cigar, quell’ultimo corpo estratto dalle macerie, non fosse proprio quello di sua madre. “

  5. nataasettembre ha detto:

    Sono dolente per il tuo dolore e voglio donarti un abbraccio…e Bologna oggi è la città di mia figlia con marito e figli…ciao

  6. anonimo ha detto:

    Bologna è anche la mia città ed io ho vissuto da vicino quei giorni d’angoscia e di rabbia.
    Mio figlio è nato nell’80 ed ad ogni suo compleanno il ricordo di questa tragedia si rinnova con lo stesso dolore.
    Nella speranza che tutto ciò risvegli la coscienza sporca di coloro che nascondono la verità, ti ringrazio , un abbraccio sincero Livia Corradi.

  7. anonimo ha detto:

    Sabato mattina. Ultimo giorno in ufficio prima delle ferie.
    Sto parlando con un amico sindacalista quando passa di corsa nel corridoio una collega che chiede a gran voce del Presidente.
    Chi l’aveva mai vista correre la Trivellini? Chi le aveva mai sentito quella voce tesa e angosciata? Doveva essere successo qualcosa di tremendo.
    – Ha telefonato Magrini chiedendo l’autorizzazione a lasciare l’ufficio informazioni perché è saltata la stazione. La stazione non c’è più, ha detto! Così la Trivellini.
    Telefono in Questura, mi confermano lo scoppio, ma non sanno altro…
    L’amico sindacalista imbocca la porta e scompare.
    Scendo in strada con una collega, che ancora non si è resa conto della gravità di quanto è appena successo. Vuole prendere un caffè e parla di non so qualche pigiamino che intende acquistare per sua figlia. La pianto, odiandola un po’, davanti al bar e proseguo fino a Piazza dei Martiri.
    Sulla via Marconi corrono ambulanze e auto che strombettano coi clacson, alcune con un fazzoletto bianco fuori dal finestrino. Vanno verso la via Ugo Bassi e quindi verso gli ospedali Maggiore e Sant’Orsola. I mezzi che accorrono alla stazione ferroviaria percorrono invece la parallela via Indipendenza.
    La macchina dei soccorsi si è già messa in moto..
    Non so cosa fare. Vorrei andare fino alla stazione, ma ho paura di vedere quanto è successo, temo che sarei soltanto di intralcio a questa prodigiosa macchina dei soccorsi che si è attivata con grande efficienza, pare. E poi i dieci minuti di pausa caffè sono abbondantemente scaduti…
    Rientro e sto parlando con Barbara – non ci crediamo mica noi alla storia dello scoppio accidentale di una caldaia , è stato proprio in questi giorni il rinvio a giudizio di alcuni eversori di destra per gli attentati all’Italicus e al treno 904 – quando entra il collega Magrini. E’ coperto di polvere nera. Non riesce a dire quanto è successo e l’orrore che ha visto. Piange. Piange soltanto e le lacrime gli rigano il volto di bianco.
    Anche quest’anno sono andata alla manifestazione del 2 agosto e mi sono unita al corteo lungo la Via Indipendenza. Anche quest’anno ho visto che il corteo è un fiume, un grande fiume che riempe la strada. E il rumore delle migliaia di passi e di voci è proprio lo stesso di un fiume di montagna che scorre limpido e pulito sui sassi.
    Si sta bene in queste acque pulite, si sta bene in mezzo a questa gente che non vuole dimenticare e che ancora chiede verità e giustizia.

    Mirella

  8. biancabalena ha detto:

    Leggere le tue parole, Milvia, e tutte le testimonianze mi ha dato i brividi. Non ne ho un ricordo “di pelle” perchè ero troppo piccola, eppure qualcosa ricordo lo stesso. Lo choc dei miei genitori, i telegiornali che li tenevano incollati, lenzuoli bianchi (li avrò visti davvero o solo immaginati?). E’ stata una tragedia immensa, impossibile da ignorare, anche per i bambini.

  9. Soriana ha detto:

    @Roberta: Molto vivo, molto toccante il tuo ricordo. Una delle cose che mi ha colpito in maniera particolrare è dove dici: “Oggi sono qui con mia figlia, prima di lasciare il foglio su un autobus fratello di quel nr. 37, le ho fatto leggere questo racconto, perché la sfumata , ma contemporaneamente precisa memoria mia, le sia utile e la spinga a alla necessità ed al dovere del ricordo.” La necessità è il dovere del ricordo. Necessità e dovere: con due parole hai detto tutto. Grazie e un abbraccio.

    @Renzo: Certo, la punizione deve esserci. Ma anche la prevenzione. Così come bisognerebbe avere uno stile sano di vita per salvaguardare la salute del corpo, si dovrebbe pure avere un sano stile di vita dell’anima, per salvaguardare il mondo, o quel che ne resta. E’ sui giovani che bisognerebbe lavorare. Per renderli consapevoli, autonomi, non soggiogati dalle sirene di un facile benessere, perché non si rifugino nell’effimero dio del consumismo. Parlare ai giovani, ricordare con loro questi avvenimenti che hanno così profondamente ferito l’Italia, renderli autonomi e critici: questa per me è prevenzione.

    @Elisa: Bentornata, Elisa! A volte, sai, penso che tutto sia già scritto, noi, personaggi di un libro già edito la cui trama non possa più essere modificata… E non so le la cosa mi faccia paura o mi rassicuri…

    @Annalisa: ecco dunque come era diventata la bambina Mirella…Una bella persona. Sai, quando ho cominciato a leggere mi sono venuti…i brividi. Ho pensato: ma come, Annalisa conosce la famiglia di Mirella?…Poi mi sembra di aver capito.
    Grazie di cuore per avermela fatta incontrare di nuovo.

    @natainsettembre: Benvenuta qui. Nata in settembre? anche mio figlio è nato in settembre, il 21…
    Sono entrata nel tuo blog: denso di emozioni. Torna a trovarmi, se vuoi. Sarà per me un piacere.

    @Livia: L’angoscia forse può passare, ma la rabbia no, quella deve rimanere. Temo che la coscienze sporche soffrano di una malattia grave: la narcolessia. Difficile che si sveglino…
    Rispondendo a Elisa prima ho parlato di destini. Beh, avremmo qualcosa da raccontare, vero, tu e io, questa mattina?
    Ciao, un forte abbraccio e torna a trovarmi. Belle, le tue poesie…

    @Mirella: il tuo ricordo di quel 2 agosto di ventisette anni fa sembra girato con una telecamera. Una telecamera dotata di cuore, però. Ringrazio anche te, con il mio, di cuore. Un abbraccio.

    @Sabrina: cara Sabrina, io penso che questo tuo ricordo sia più di un ricordo “di pelle”. I bambini percepiscono molto bene le atmosfere, e più non capiscono, più ne vengono turbati. Per questo bisognerebbe poter parlare loro di tutto, con le dovute parole, naturalmente. Un abbraccio.

    @tutti: ancora una volta avete portato ricchezza in questo mio blog. Grazie è troppo poco. Ma non posso fare altro: grazie!

  10. cochina63 ha detto:

    grazie a te ivece, che sei così sempre stupenda.

  11. Soriana ha detto:

    @Cinzia: mi fai arrossire…Sei troppo generosa, con me…
    Un bacione
    Milvia

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