Non sapevo molto di Joyce Lussu. Conoscevo solo qualche sua poesia (ricordo Un paio di scarpette rosse, in memoria dei bambini sterminati a Buchenwald) ma poco conoscevo della sua vita, dell’impegno politico e civile che Joyce ha portato avanti durante tutta la sua esistenza. Oggi ho avuto la fortuna di assistere a un convegno a lei dedicato (ne avevo dato i dettagli nel post di venerdì: Joyce Lussu, Sibilla del novecento …) e sono rimasta affascinata dal coraggio e dallo spessore intellettuale di questa donna. Ho appreso anche che Joyce Lussu è stata traduttrice, traduttrice di poeti. E quella di traduttore, a me che ho così poca confidenza con le lingue straniere, è una professione che incanta. Non parlerò quindi della Joyce Lussu partigiana, della Lussu amica di Benedetto Croce, o delle sue posizioni verso il movimento femminista, o dei suoi viaggi che l’hanno portata nei vari Sud del mondo sempre in nome della libertà. Ma farò parlare proprio Joyce Lussu traduttrice, o, come amo chiamare io i traduttori, della Joyce Lussu traghettatrice di parole.
Riporterò dei piccoli spezzoni presi dal suo libro “Tradurre poesia” (Robin Edizioni srl Roma 1998) che ho acquistato proprio oggi, e che ho solo sfogliato. Ma che già mi ha avvinto. L’autrice scrive del suo lavoro, del rapporto che ha avuto con i poeti che ha tradotto e presenta alcune loro poesie. Quindi non solo un volume di poesie, non un saggio o una autobiografia, ma qualcosa di veramente particolare.
Ed ecco poche righe che prelevo dall’introduzione:
Tradurre poesia non è arido esercizio accademico e filologico sulle complicazioni grammaticali e sintattiche di una lingua. Tradurre poesia è sforzo per comprenderla, è quasi riviverla. Basta solo (ma è indispensabile) avere col poeta il denominatore comune della posizione dell’uomo nei confronti della vita. E ciò è facile quando, come per i poeti di questo volume, le radici della poesia vanno ricercate nel presente e sono quindi, proprio per questo motivo, volte al domani. Gli autori presentati non hanno fra loro affinità linguistiche o geografiche (come stabilirne fra la Guinea-Capo Verde e la Turchia, il Mozambico e la Danimarca, la Polonia e le terre artiche?). Esiste, tuttavia, il filo rosso che li lega e ne motiva la scelta: l’amore per il mondo, l’impegno nella lotta per modificarlo, la carica e l’impegno rivoluzionario in senso storico e politico.
Non a caso, il primo poeta che appare dopo l’introduzione di Joyce è Nazim Hikmet.
La Lussu riporta una biografia piuttosto dettagliata del poeta turco e anche molti brani della conversazione che ebbe con lui prima di iniziare il lavoro di traduzione delle poesie.
“- Adopera soltanto parole concrete, non ambigue, quelle che si usano tutti i giorni e che capirebbe anche un contadino analfabeta” –mi diceva.”
E ancora:
“-Credo che la forma sia perfetta- diceva – quando dà la possibilità di costruire il ponte più solido e più comodo fra me, poeta, e il lettore. Detesto non solo le celle della prigione, ma anche quella dell’arte, dove si sta in pochi o da soli. Sono per la chiarezza senza ombre del sole allo zenit, che non nasconde nulla del bene e del male. Se la poesia regge a questa gran luce, allora è vera poesia.-“
Fra le poesie di Hikmet presenti nel volume ho scelto questa, non perché sia la mia preferita. Ma perché può essere attuale. E anche per un motivo del tutto banale e egoista: è la più corta…e così faccio prima a trascriverla. E poi mi piacciono quegli ultimi quattro versi.
Il ragazzo ucciso dalla polizia
Non ha strappato le ali alle mosche quando era piccolo
non ha legato barattoli alla coda dei gatto
né imprigionato scarafaggi
nelle scatole di fiammiferi
non ha distrutto le case delle formiche.
E’ diventato grande.
E vedete il male che gli hanno fatto
Quando è morto, ero al suo capezzale
e mi ha detto: “ leggimi una poesia
che canti il sole e il mare
le officine atomiche la luna artificiale
che canti la grandezza dell’uomo”.
Se è Hikmet ad aprire la serie di poeti presentati e tradotti da Joyce Lussu, in questo suo “Tradurre poesia” la chiusura spetta invece a un uomo senza dubbio molto discusso, certamente più come capo politico che come poeta: Ho Chi Min.
Ed ecco una sua breve, serenissima poesia:
La sera
Il passero stanco
ritrova il suo nido nel bosco
una nube erra lenta
nel cielo solitario
una fanciulla macina il mais
al villaggio
sul focolare d’argilla
già s’accende una fiamma.
Non mi sento però di concludere (anche se il post è chilometrico e sto abusando della pazienza di chi mi sta leggendo..,) senza lasciare qui una poesia di Joyce Lussu. L’avevo già fatto mesi fa, ma credo che sia importante rileggerla.
C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica
Schulze Monaco
c’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buchenwald
più in là c’è un mucchio di riccioli biondi
di ciocche nere e castane
a Buchenwald
servivano a far coperte per i soldati
non si sprecava nulla
e i bimbi li spogliavano e li radevano
prima di spingerli nelle camere a gas
c’è un paio di scarpette rosse
di scarpette rosse per la domenica
a Buchenwald
erano di un bimbo di tre anni
forse di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini
li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l’eternità
perché i piedini dei bambini morti non crescono
c’è un paio di scarpette rosse
a Buchenwald
quasi nuove
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole…
(Joyce Lussu)
E siccome questa mi pare diventata una notte interamente dedicata alla poesia, niente musica, ma… cliccate, e sentirete…
Bravissima Milvia, a proporci questi poeti che sono stati capaci di tessere in poesia atrocità e dolore…e valga per tutti coloro che ancora pensano che i morti nazifascisti siano da equiparare a quelli della Resistenza.
Ciao e grazie.
cri
@Cri: Grazie, Cri, per il “bravissima”. E grazie per aver colto un punto di quello che, con certi ambigui revisionismi, sta accadendo.
Milvia
uno sparo lontano
Dove corri ora ?
Le trecce, le scarpe,
il vestito nuovo
e la tua voce
dove sono ?
Cosa è stato del tempo
dei giochi per strada,
dei sonni e dei sogni ?
Cosa è stato di te
che tendevi le braccia
ed offrivi sorrisi ?
A chi chiedi, ora,
della luna e le stelle ?
E la bambola nuda
dovâè ?
Proprio quella
che avevi vestito,
serena, prima
dello sparo lontano.
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a tutte le guerre ed alle vittime innocenti
Grazie, Eventounico, per la bellissima poesia. Mi piacerebbe molto averti ospite in Altre scrivanie…
Ciao.
Milvia
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