Vorrei farvi conoscere, questa notte, il terzo personaggio femminile di Isole: Celeste, le cui figlie, Nadia e Assunta, avete già incontrato qui:
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e qui:
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Mi mancherà poi solo Mira, da presentarvi. Mira, che è figlia di Nadia, ed è un’adolescente che vive cose che non riesce a comprendere. Ma lo farò…il prossimo anno.
Celeste
Qualcuno si era messo a cantare “Sposi”, con la voce alla Rabagliati. Sul lungo asse appoggiato ai cavalletti rimaneva ormai solo il disordine della tovaglia sgombra, con qualche macchia sparsa di vino rosso punteggiata qua e là da briciole di pane e da foglie cadute dagli alberi sovrastanti. Dodici ottobre 1950: l’autunno si faceva spazio fra il sole dorato e tiepido che abbracciava il giardino della casa. La sposa aveva cominciato a riordinare la tavola, non appena gli invitati avevano svuotato il piattino della torta. Una vicina le aveva tolto le posate di mano e le aveva detto : “Ma che fai? Oggi è la tua festa, lascia stare!” Celeste si era seduta senza rispondere, si era girata verso Vincenzo e aveva incontrato il suo sguardo. C’era un che di smarrito in quegli occhi scuri, come se anche lui, come lei, non sapesse bene cosa stesse accadendo. Le era venuto in mente un cucciolo, guardandolo, e aveva provato un moto di tenerezza.
“Sposi” continuava a cantare la voce “Oggi si avvera il sogno, siamo sposi…”
La gente chiacchierava allegra, suo padre stava centellinando un amaro, lo sguardo perso in qualche suo pensiero.
Celeste ripensò alle parole che lui le aveva detto quella mattina. Suo malgrado sentì un calore che l’avvolse tutta. Le vennero alla mente frammenti di ricordi dell’adolescenza, risentì all’improvviso quella strana fame. Avvicinò la gamba a quella del marito, premette piano, con leggerezza, sentendosi arrossire. Vincenzo si volse verso di lei, le fece un mezzo sorriso, poi si alzò e entrò nella casa.
Lei cominciò a gingillarsi con i due sposini di bachelite che avevano decorato la torta. “Oggi si avvera il sogno siamo sposi”.
Quale sogno, Celeste?
Forse, quella canzone fatta scrivere dal passato regime per incentivare matrimoni e nascite, poteva anche dire la verità. Forse il sogno era quello: vivere tutta la vita accanto a un uomo, e servirlo, e non tradirlo mai.
Così come aveva detto il prete, qualche ora prima.
La prima notte di nozze Celeste aveva scoperto due cose. Uno, il piacere di tenere una sigaretta fra le labbra, aspirarla e sentire il fumo che scende, va a pizzicare i polmoni, e osservare poi, con gli occhi socchiusi, come sale verso l’alto, mentre lo si butta fuori con lentezza.
Vincenzo, appena si era steso accanto a lei, aveva preso dal ripiano del comodino il pacchetto di Macedonia e aveva acceso due sigarette.
“Tieni, “ le aveva detto passandogliene una” sono una compagnia, sai? “
Ai primi tiri Celeste aveva cominciato a tossire come se non dovesse più smettere. Poi il fumo aveva cominciato a entrare in lei fluidamente, e la ragazza aveva imparato a trattenerlo un poco, e a farlo scendere dentro, in profondità, e a farlo poi uscire lentamente, fra le labbra socchiuse.
E, mentre il posacenere si riempiva, Vincenzo aveva cominciato a parlare, tenendosi un po’ discosto da lei, con un linguaggio dapprima smozzicato, poi sempre più sicuro, ma incolore, come il fumo che scendeva nella gola di Celeste.
Erano arrivati a Roma che era già tardi, un inizio di pioggia li aveva sorpresi subito fuori dalla stazione. Lui l’aveva presa per mano e avevano corso goffamente, ostacolati dalle valige, fino al portone della pensioncina dove Vincenzo da tempo aveva una camera.
La proprietaria, assonnata, gli aveva consegnato la chiave, ammiccante. Gli aveva detto:
“Vincenzo, la faccia felice, la sua mogliettina. Le ho messo le lenzuola buone, nel letto. Quelle del mio corredo.”
Le lenzuola erano ricamate, ma il tessuto era rigido, e frusciava a ogni movimento.
Celeste si era messa a letto, aggiustandosi lo scollo della camicia da notte azzurra, sentendo sotto le dita il turgore dei capezzoli appuntiti. Aveva avvertito una fiamma, nel ventre, e aveva allontanato in fretta le mani dal suo corpo.
Vincenzo indossava ancora il vestito del matrimonio, e stava in piedi davanti alla finestra, di spalle a lei.
La moglie lo aveva guardato, non ti metti a letto? gli aveva chiesto, con voce bassa, e lui aveva aperto la finestra e aveva buttato la sigaretta ancora accesa, che aveva disegnato un arco arancione nel buio, finendo poi in una pozzanghera del cortile sottostante.
Ore dopo, Celeste guardava dai vetri il grigiore dell’alba che scendeva come nebbia a scolorare il nero di quella lunga notte. I piedi nudi le si stavano gelando sul pavimento freddo. Una sigaretta si stava consumando fra le sue dita.
L’altra cosa che aveva imparato su quel letto, in quella sua prima notte di nozze, era che c’erano aspetti della vita che lei non avrebbe mai immaginato.
Avrei voluto trovare “Sposi”, in Youtube, ma mi pare proprio non ci sia…
E allora un altro Rabagliati. giusto per immergersi nell’epoca in cui si svolge questa parte del romanzo.
Milvia! Ma ci lasci così?..
Accipicchia se sai catturare l’attenzione!
spero che tu ci aggiunga presto il seguito.
cri
Giusto incuriosire con dei brani, una sorta di trailer scritto che lascia pregustare tutta l’opera, ma a che punto è? Quando avremo il piacere di leggerla nella sua interezza?
Mi auguro e ti auguro che ciò accada presto.
è appassionante, tutto ciò, davvero
@Cri, Renzo: Spero di riprendere a scrivere al più presto, magari in vacanza, dato che sto per partire…Grazie, amici cari.
@Idraelen: Grazie della visita e del commento. E benvenuta! Sono entrata nel tuo blog. Devo dire che quel po’ che ho letto (non ho molto tempo, in questi giorni) mi ha incuriosito, anzi, mi è proprio piaciuto. Sincero e dissacrante.
Ciao!