
A volte penso che vorrei smettere di pensare.
A volte penso che vorrei partire e andare in un posto che in realtà non esiste.
A volte penso che dovrei smettere di occuparmi e preoccuparmi delle cose che succedono intorno, e occuparmi e preoccuparmi di me e dei miei eventuali casini.
A volte penso che mi piacerebbe fregarmene di tutto.
A volte penso che è facile blaterare davanti a uno schermo.
A volte penso che sono nel gregge, e scrivo e scrivo sotto l’onda dell’emotività del momento. Una sorta di moda, ecco.
Come per il Tibet.
Un anno fa tanto schiamazzo da parte mia, qui, tanti miei post, tanta mia indignazione…bla bla bla. Forse, poi, ne ho accennato altre volte. Forse.
Come più o meno abbiamo fatto tutti.
Ma oggi è il 10 marzo 2009.
Cinquanta anni dall’ insurrezione dei Tibetani contro l’opprimente governo cinese. 87.000 tibetani uccisi, migliaia incarcerati.
E oggi allora se ne torna a parlare, e io stessa ne torno a parlare, del Tibet e dei Tibetani. Sono trascorsi 365 giorni dall’inizio della marcia dei monaci tibetani, lo ricordate tutti, vero? Altri morti, altri monaci spariti, incarcerati, torturati. E tutti quegli appelli per boicottare le Olimpiadi. E poi? Poi il silenzio, più o meno nove mesi di silenzio. Dopo le Olimpiadi chi ha più parlato del Tibet? Ne ho parlato io, forse? No, non mi sembra proprio. E il popolo tibetano continuava a soffrire, a subire torture indicibili. Perchè non è che per il fatto che abbiamo smesso di pensarci, là hanno cominciato a vivere tutti felici e contenti. Non è che la cosa esiste solo se ne parla la Tv.
Ma oggi è il 10 marzo 2009. Un cinquantenario.
Un anniversario, come la nascita di un grande artista, o la sua morte. Una ricorrenza, come può essere l’anniversario di un’invenzione, di una scoperta scientifica. Bisogna parlarne, no? E’ politicamente corretto, parlarne.
Cinquanta anni dall’ insurrezione dei Tibetani contro l’usurpatore cinese.
87.000 tibetani uccisi.
Migliaia incarcerati.
E allora tutti a parlarne, e anch’io, come se tornassimo a sentire l’odore del sangue delle vittime.
Per qualche giorno.
Gli anniversari, le ricorrenze, i giorni dedicati a.
E poi il silenzio.
A volte vorrei non pensare.
A volte vorrei pensare ogni giorno.
Al Tibet, alla Birmania, all’Iraq, alla Cecenia, all’Afganistan, all’Africa.
Alle guerre di cui non si parla più.
Ai bambini senza infanzia.
A volte vorrei andarmene in un posto che ancora non conosco.
Comunicato dell’11 marzo 2009[..] . [..]
A volte
per non dimenticare
si vorrebbe non esistere
e questo può frenare
anche dal ricordare
ma chi è più forte lo faccia, anche per chi non ha tempra.
Tu, cara pasionaria, lo fai anche per me che vivo di poco, ai margini di un mondo che non capisco più, e che, a volte, avrei voglia di lasciare.
Grazie
“A volte vorrei andarmene in un posto che ancora non conosco.”
un abbraccio
maria
E’ così per molti. Lo è per me. Il nostro parlare ha echi di tonfi. E’ inevitabile stancarsi se tutto appare immutato intorno, e allora proteggiamo il nostro fiato per annusare un solo fiore, quello di casa nostra. Ci costringiamo ad annusarne uno solo. Chissà come saranno i fiori in Tibet.
Ho perduto molte forze, Milvia. L’impotenza, la nostra, è la loro arma. Conoscono gli uomini più di quanto siamo capaci di farlo noi. E’ la crudeltà più grande di un potere portarci al, Me ne frego.
Ti sono accanto.
Il tuo calore riscalda i cuori e vorrei che il tuo, quello di tanti come te e come me che soffro per queste atrocità , potesse svegliare le coscienze malvagie o meglio che quegli animi carnefici provassero le stesse sofferenze che infliggono. Il male continua a ingozzarsi di vittime, ma giungerà il giorno in cui sarà sconfitto, perchè c’è anche tanta umanità e sarà quell’umanità che prevarrà .
Sei adorabile cara Milvia, adorabile e vera.
Abbraccio serale, Annamaria*.
@Cri: sapessi, Cri, come sono stancaâ¦
@Maria: â¦ho scritto il post, influenzata anche dai nostri discorsi al telefono⦠Ma questo lo hai capito, Maria cara
@Savina: Anchâio ogni giorno perdo forze. Forse ogni giorno mi indigno un poâ di meno, non so. E, certo, così si diventa più deboli, si asseconda il loro gioco.
Voglio credere che nel Tibet i fiori siano bellissimi.
@Annamaria: Beh⦠mi riempi sempre di apprezzamenti⦠vorrei essere come tu mi giudichi, ma non credo proprio di esserlo.
E a proposito di umanità sabato mattina a Uomini e Profeti, una bella trasmissione di Radio Tre, si parlava di Birmania. E mi ha colpito la testimonianza di un ospite che riportava lâesperienza di un monaco imprigionato e sottoposto a terribili torture. Una volta uscito dal carcere gli è stato chiesto se avesse avuto paura, paura del dolore, paura della morte. E il monaco ha risposto che lâunica paura che aveva avuto, mentre lo stavano torturando, era di smettere di provare compassione per i suoi torturatori.
Unâabbraccio forte, mie care amiche. Sono contenta della vostra vicinanza.
Milvia
Milvia
A volte vorresti non pensare, e vorresti anche andartene… Come ti capisco! Ma non possiamo non pensare, non riflettere su di noi e sul mondo intorno e lontano da noi.
Che poi, oggi, ogni angolo di questo nostro mondo sia vicinissimo a noi, ed è per questo sentirlo così vicino che giustamente ne soffriamo, è vero. Andarsene, poi, dove? Vado convincendomi che noi uomini siamo uguali in ogni paese; penso che ovunque ci sia l’UOMO, quello al quale guardiamo come ad un maestro, e poi quelli che comunemente chiamiamo uomini.
Per quanto riguarda te, Milvia, credo che tu non debba rimproverarti niente perchè il tuo impegno in questo senso è sempre stato continuo e coerente.
Se poi dici che, purtroppo, certe situazioni sembrano non avere una soluzione vicina, condivido pienamente la tua amarezza e lo sconforto. Ti abbraccio. Piera
… la stessa riflessione che facevo stamattina tra me e me.
Tra me e me perché è difficle trovere qualcuno con cui parlare di questo…
Meno male che son passata di qui… sono meno sola. Cassandra
Ciao, Piera, e benvenuta Cassandra. Allora…continuiamo a pensare insieme, e a scambiarci parole, e a sostenerci a vicenda.
Vi abbraccio.
Milvia