Il racconto, che ho appena finito di scrivere, è liberamente tratto da una testimonianza di un ascoltatore nigeriano che questa mattina ha telefonato a
Prima Pagina
telefonata ripresa poi dalla trasmissione
Tutta la città ne parla . Rigorosamente su Radio3, naturalmente. La fabbrica cui ha fatto riferimento l’ascoltatore è la Merloni e la Coop è quella di Gubbio. La fabbrica e il suo proprietario di cui scrivo sono invece frutto della mia fantasia. La Coop, potrebbe essere quella dove andate voi, a fare la spesa.
Devo comprare il latte e poi i pomodori, quelli nella scatola, prendine due mi ha detto lei, che voglio fare la pizza per i bambini e anche quel formaggio che va sulla pizza, prendi, quello che costa poco, mi ha detto. Devo comprare il sapone e il tonno e il pane e lo zucchero. E poi le arance. Per arrivare alla Coop devo prendere l’autobus. Prima ci andavo a piedi, ma adesso lavoro da una settimana, un euro posso pagarlo. Nell’autobus c’è poca gente, italiani e due extra comunitari, come ci chiamano. Qui in Italia mi sembra che la gente ha sempre la faccia triste, o come se non avesse occhi. Io pensavo che qui fossero più felici. Io pensavo che qui avessero tutto. Ma ascolto la radio e anche la televisione e sento di gente che non ha lavoro, sento di uomini che stanno sul tetto delle fabbriche che chiudono. E le loro donne sotto, che gli dicono di andare avanti. Io non credevo. Credevo che qui loro stessero bene e che anch’io, magari. Però un lavoro ce l’ho, adesso. Siamo tutti extra comunitari, come ci chiamano. Tre ukraini, due pakistani, tre moldavi, due marocchini e un altro nigeriano come me. A fare una casa, una villa, tre piani, io lavoro sul tetto con i pakistani, è un freddo che fa piangere, lì sopra. Ma mi hanno pagato ieri e allora va bene. Così lei può fare la pizza, che non l’avevamo mai mangiata, prima di venire in Italia. E ai bambini piace. Come si fa ce lo ha detto il pizzaiolo cingalese che sta nelle case popolari. Forse andrà meglio, adesso che ho un lavoro. Io spero che andrà meglio anche per quella gente sui tetti. Deve fare un freddo da piangere, sopra quei tetti. Io lo so come è quel freddo.
Davanti alla Coop ci sono due uomini e due donne. Le due donne hanno un cartello che gli copre la faccia. C’è il cartello e, sotto, la pancia e le gambe delle donne. Jeans, scarpe basse, un pezzo di sciarpa verde che esce dall’orlo di un giubbotto. Sul cartello c’è scritto: Licenziati e poi un punto esclamativo. E anche il nome di una fabbrica. Il padrone della fabbrica lo conosco. E’ sua la casa che stiamo facendo. Delle volte viene a vedere i lavori, sembra il padrone del mondo quando scende dalla Porsche. Che è una Porsche me lo ha detto il marocchino, io, di macchine, niente.
I due uomini hanno le spalle curve, come se portassero una cosa pesante. Come noi quando portiamo le tegole. Ma non portano niente, però. Lì per terra ci sono cinque cassette di arance e una piccola bilancia.
La gente si ferma, li guarda, legge, guarda le arance e poi entra nel supermercato.
Nel supermercato fa molto caldo, troppo, penso che si spendono troppi soldi per riscaldare, basterebbe meno, penso. E anche tutte quelle luci. Troppe. Penso a quei quattro, là fuori. E’ la prima volta che vedo degli italiani vendere cose fuori da un super mercato. Tutte le altre volte ho visto solo gente come me. Penso a come stanno curvi, anche se le spalle sono libere. Penso agli uomini sui tetti.
Nel reparto della frutta le arance sono in offerta speciale. Un euro al chilo, tre chili due euro. C’è la fila, per pesarle.
Metto la roba che ho comprato sul nastro della cassa. Passa il latte, il pane, il sapone, i pomodori, il formaggio, il tonno, lo zucchero. Pago e la cassiera mi sbatte il resto sul vetro, senza guardarmi.
Fuori adesso nevica. Le donne hanno messo il cartello per terra, la scritta si sta come sciogliendo.
Uno degli uomini si china, prende un’ arancia e me la mette in mano. Sono buone, mi dice. Le vendiamo. Dobbiamo fare questo, mi dice, siamo ridotti a fare questo, mi dice. Se vogliamo dare da mangiare ai nostri figli. A vendere arance. Qui e in altri posti. Tutto il giorno. Dopo dieci anni di fabbrica. Operaio specializzato. A vendere arance.
Parla e tiene gli occhi bassi. Parla come la gente di qui, che ha un modo di parlare che sembra miele che sgocciola.
Ne voglio due chili, dico.
Sono cinque euro, mi dice. Lo so che sono molti. Ma è un modo per sopravvivere, dice.
Dà i cinque euro a una delle due donne, che tira fuori da una tasca un borsellino grande e lo apre. Non c’è niente, dentro. Adesso, però ci sono i miei cinque euro.
Grazie, mi dice l’uomo.
Vorrei dirgli: venite a casa mia, mia moglie fa la pizza, questa sera.
Ma poi non dico niente. Gli metto una mano sul braccio e glielo stringo. Lui mi guarda e sorride.
Grazie, fratello, mi dice. Buona fortuna.
Salgo sull’autobus. E’ pieno di ragazzini che tornano da scuola. Sembrano allegri. Gridano.
Fratello. Sì.
Buona fortuna anche a te, fratello.
Bologna, 11 febbraio 2010
una bellissima canzone di Ivan della Mea, cantata da Cisco.
Bellissimo, l’ho letto tutto d’un fiato! La storia vera è toccante e riguarda la nostra realtà, siamo come loro… alla ricerca di un lavoro per sopravvivere. E’ triste: uomini che all’improvviso non sanno come fare per sfamare la famiglia, uomini privati del loro ruolo. Il popolo paga per le mancanze dei potenti che non si fanno nessuno scrupolo di pensare solo a loro stessi.
La speranza e l’impegno faranno cambiare questa triste realtà.
Un caro abbraccio
annamaria
io l’ho già commentato su fb. sai che l’ho apprezzato tantissimo.
Bello e commovente.
Ovviamente avevo sentito "Prima Pagina".
Un bacio.
Daniela
ello. ciao cara e bentornata. Gli occhietti?
cinzia P.
Questo lo dovete leggere[..] C’e’ un racconto che dovete leggere. Si intitola La spesa. L’ha scritto Milvia Comastri e… niente. Leggetelo e basta [..]
Non e’ facile che io pianga, Milvia. Ma adesso sto cercando di nascondere le lacrime ai miei colleghi di lavoro. Ho una fama da dura da difendere in redazione. Questo racconto e’ bruttissimo, di una bruttezza che strappa l’anima. Non perche’ sia scritto male, e’ scritto come tu sai scrivere, e’ scritto con il sangue e con il cuore. E’ brutto perche’ e’ vero. Perche’ e’ cosi’ che ci siamo ridotti e perche’ io ci credo che il ragazzo di colore ha comprato quelle arance troppo care. Noi abbiamo perso la compassione. Loro no ed e’ la ricchezza piu’ grande, quella che possono regalarci. Ma sapremo accettarlo questo regalo cosi’ pesante?
Davvero toccante. Fa riflettere davvero!
Non so, con mi vengono altre parole…
Certo che quel "fratello" dice molto!
Ciao.
Ci siamo incrociate da Cristina.
E’ la prima volta che passo da qua, ma non sarà l’unica: quanto ho letto trapassa l’anima. Sobrio ed efficace.
Sono una giornalista.
Me lo posso copiare, Milvia? Vorrei evidenziarlo nel mio blog.
Grazie
Annamaria:
Annamaria: I potenti… piccoli o grandi che siano… Sono nauseata dalla telefonata fra quei due imprenditori proposta ieri sera da AnnoZero. Il terremoto è per loro una pacchia: e ridono… Dovrebbero condannarli, per questo, è forse peggio il loro schifoso cinismo che l’atteggiamento corrotto dei funzionari e dei politici. O, per lo meno, è ugualmente condannabile.
Grazie, cara.
Milvia
Cri: hai visto? ogni tanto utilizzo FB. Grazie!
Milvia
Daniela: che bello, sentirti!
Ovviamente…
Grazie e un bacio.
Milvia
Cinzia: Ciao! Gli occhietti stanno a posto, ora, per fortuna. Grazie!
Milvia
Laura: Grazie a te e Lory per la segnalazione.
E grazie a te, Laura, per il tuo commento che, come ti ho già scritto in Fb, mi ha emozionato.
Dobbiamo avere l’umiltà di accettare il fatto che da loro, da queste persone che consideriamo “diverse” abbiamo molto da imparare. Ed è vero, ora che ci penso, che molto spesso sono diverse. Ma questa loro diversità non va a nostro favore, perché non evidenzia di certo una nostra superiorità.
Mi hai anche sorridere: hai una fama da dura, in redazione? Eh…ti nascondi bene…
Milvia
bentornata cara Milvia, grazie della tua amicizia e dei tuoi bei racconti
un abbraccio
maggie
Kinsy: Grazie, Kinsy. Fratello è una parola bellissima, in qualunque lingua si traduca.
Milvia
Marzia: Benvenuta, allora! Sono contenta che, in Cristina, abbiamo un’amica comune.
Sono io che ti ringrazio per aver pensato di copiare e evidenziare il racconto nel tuo blog. Certo che puoi farlo!
E ripassa, cara Marzia, mi raccomando.
Milvia
Maggie: grazie a te, Maggie, per l’amicizia, per la presenza, per gli insegnamenti.
Un abbraccio
Milvia
L’ho evidenziato da me, Milvia.
Testimonianza molto emblematica, che tovva cuore ed intelletto: fa riflettere e commuovere. Ti ringrazio
Errata corrige
"che tocca"
wow
Comunicato del 14 febbraio 2010[..] Il San Valentino e Il carnevale di Letteratitudine. Una tragedia silenziosa: La spesa. [..]
Marzia: grazie a te! Ho letto!
Milvia
Marco: Sintetico, ma efficace! Grazie.
Milvia
Renzo: grazie, sei davvero gentile a segnalarmi sempre.
Milvia
Se riuscissimo a sentirci fratelli anche nella buona sorte al mondo ci sarebbe meno sofferenza invece "pancia piena non pensa a quella vuota" è un detto triste ma sempre attuale
lory
STUPENDO come tutte le cose che fanno….. male all’ Anima:
Hai serva Italia, di dolore ostello,
nave senza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincie, ma bordello.
L’ Alighieri aveva previsto tutto già sette secoli fa.
Grazie per la commozione.
Gianni
Lory: come molti detti rispecchia la realtà, infatti
Milvia
Gianni: Non è un detto, come quello proposto da Lory, ma sono i versi del Sommo Poeta… Ma quanto dolorosamente attuali anche questi.
Grazie!
Milvia
mi perdonerai l intrusione, ma arrivo dopo aver letto il suggerimento di Laura e Lory.
questo "post" (anche se chiamarlo così è riduttivo) è struggente e terribilmente bello, così tanto che mi sembrava di essere lì, assistere alla scena… l ho "sentito" così forte da essermi commossa. e a parte il fatto che per fortuna in ufficio sono da sola e posso lasciare scorrere le lacrime, condivido il commento di Laura.
un piacere grande leggerti.
sonia
Scusa anche la mia intrusione…ci conosciamo di "vista" e ho letto il messaggio da Laura & Lory.
A parte alcuni luoghi comuni che trovo sparsi nel racconto, quello che ho letto qui è quello che vedo intorno.
Spesso siamo un po’ presbiti e vediamo la miseria e la povertà di luoghi e persone molto lontani ma non quelli che ci stanno a fianco.
E purtroppo mi scontro ogni giorno con questo problema. Non che io non mi preoccupi di coloro che vivono nei paesi poveri e che devono superare drammi estremi, anzi! Non vado sbandierandolo ai quattro venti, ma chi mi conosce sa…
Però molte persone sanno provare pietà solo per quelli che vivono lontano e, quando viene richiesto loro di aiutare i propri concittadini che si trovano in situazioni drammatiche, fanno spallucce o fingono di non vedere.
E questo mi riempie di rabbia e di impotenza. Parlano parlano ma poi, alla resa dei conti, non fanno nulla.
Il discorso sarebbe troppo lungo da spiegare, per dare la vera idea di quello che vorrei esprimere e non voglio tediare oltre. Anzi, mi scuso ancora e ringrazio. 🙂
Paola
Sonia: Intrusione? Non è certo un’intrusione, la tua, ma una graditissima visita. Grazie per quello che mi scrivi. Ripeto che, se sono riuscita ad emozionare i lettori, non è tanto merito io, ma perché io stessa sono stata molto emozionata dalla telefonata da cui il racconto è scaturito.
Milvia
Paola: vale anche per te quello che ho scritto a Sonia, non parlare certo di intrusione, Paola!
Sulla nostra presbiopia sono perfettamente d’accordo. E infatti la nostra solidarietà ha picchi altissimi quando le tragedie si svolgono lontano da noi, oppure quando assumono l’aspetto di catastrofi e ci vengono mostrate dai media. Come se la realtà fosse solo quella. Poi, il nostro vicino può anche morirci davanti.
Grazie per la condivisione.
Milvia
E’ un racconto bellissimo e vero. E fa riflettere su come siamo, su come i giorni ci scivolano addosso senza "sentire" la vita, le persone, la natura. Grazie. Grazie anche a Marzia.
Cumino: grazie mille e benvenuta!
Milvia
Semplice. Bello.
Fratello: una parola di cui abbiamo perso il vero significato da decenni.
Però, in compenso, c’è il Grande Fratello.
Un caro saluto,
Subhaga Gaetano Failla
Subhaga Gaetano Failla: grazie per il commento. Eppure ieri, nelle piazze italiane sembrava di essere tutti fratelli. Un inizio? io lo spero. Certo però che i ragazzi che hanno manifestato con i loro fratelli emigranti non sono quelli che seguono il Grande Fratello. E, purtroppo, sono una minoranza.
Un cordialissimo saluto.
Milvia
Grazie a te Milvia per il tuo blog bello e appassionato.
Talvolta ritrovo con piacere il tuo nome qui e là nella Rete, e in passato ho seguito il tuo impegno per il Tibet e l’ex-Birmania.
Naturalmente la mia frase sul Grande Fratello era impregnata d’ ironica amarezza (non ho scritto i puntini sospensivi finali per sottolinearne il tono perchè talvolta non li gradisco). Uno dei principali messaggi simbolici di quella disgraziata trasmissione è l’esclusione del proprio compagno di gioco attraverso una sorta di tradimento (mi pare di ricordare che, forse nella prima edizione spagnola, i partecipanti abbiano fatto fallire il programma rifiutandosi di sottostare al regolamento).
Ho poi visto il tuo articolo sulla manifestazione di ieri svoltasi a Bologna, una città che in un passato ha regalato tanta fiducia alla nostra bizzarra umanità: davvero bello il testo ed anche la foto.
Un abbraccio e buona serata,
Subhaga
Come sembrano già lontani, Subhaga caro, i tempi in cui ho dedicato post al Tibet e alla Birmania… Nessuno ne parla più, di quelle zone, e io, per prima, e mi sento colpevole, non me ne sono più occupata…
Avevo colto perfettamente l’ironica amarezza contenuta nella tua allusione al Grande Fratello, eri stato chiarissimo, anche senza puntini. Di cui io forse faccio un uso eccessivo, ma solo nel blog.
L’aspetto che evidenzi di quell’orrendo format è uno dei più deprecabili, indubbiamente. Ma è tutto uno schifo, comunque. Mi capita di vedere in Blob alcune sequenze, e ti giuro, a volte penso che sia una caricatura della trasmissione, tanto tutto è assurdo.
Ti ringrazio per le belle cose che scrivi sul mio ultimo post. E’ stata una manifestazione emozionante, davvero. Però, sai, anche Bologna è cambiata.
Buona notte, Subhaga.
Milvia
Ciao….
Bello, vero e triste questo racconto . . . .
veramente bello…
complimenti….
ciao
filemazio
Filemazio: Grazie! E benvenuto in Rossiorizzonti.
Milvia