(non ricordo di chi fosse questa tromba in attesa di essere suonata… Ma era bella, lì sul palco, così l’ho fotografata…)
Evviva, anche questa ventitreesima edizione del Festival è stata magnifica! Peccato, dovrà passare un anno intero, prima che si ripeta questa gioia!
Ecco, potrebbe essere tutto qui, il testo del post. Perché per scrivere una cronaca completa e interessante dovrei essere una vera intenditrice della musica soul (o del funk, quest’anno molto presente), come Edoardo Fassio ,per esempio (che, stranamente, per la prima volta da quando frequento il Festival, non ho visto fra il pubblico che affollava il Rufus Thomas Park e sono pure preooccupata), che sul blues e sul soul è forse il maggior esperto in Italia. Dovrei conoscere tutti i nomi e i cd e le caratteristiche vocali e strumentali degli artisti che per tre sere ci hanno entusiasmato.
Ma questa conoscenza mi manca, e mi mancano i vocaboli tecnici e molto altro: sono, insomma molto ignorante, in questo campo.
Il mio incontro con la musica soul, e con questo IMPERDIBILE festival, direi che è corporeo: Il suono delle chitarre, dei sax, delle trombe, dell’hammond, del piano, delle batteria, le bellissime voci dei cantanti, mi entrano nel sangue e scorrono per tutto il mio corpo, e arrivano alle mani, che sento vibrare, e ai piedi, che non sanno stare fermi. E al cuore, e al cervello, e, soprattutto, in quel posto non identificabile logisticamente dove ha sede l’anima. E come una medicina, come un ottimo ricostituente, tutti quei suoni mi rigenerano, si trasformano in vitamine di gioia, cancellano gli spazi bui e tutto diventa luce, dentro di me.
Troppo, per un semplice Festival? Vi sembro esagerata? Niente affatto: provate a venire a Porretta, il prossimo anno, e mi darete ragione.
Ascoltare McKinley Moore (e sembra di risentire Otis…)
e Bruce James (dalla voce che ricorda Tom Waits, ma pure Otis, ancora una volta), e Fred Wesley e la sua band (fantastici!) e la band bolognese Groove City (anche loro, fantastici)
e Thelma Jones (da brivido un suo pezzo che ha cantato senza accompagnamento musicale)
(Groove City)
e poi Lavelle White, afro-americana del Texas, ottant’anni, signori! Vitalissima e spregiudicata, simpatica e irriverente… Ma, soprattutto, che voce! Quarant’anni? Sì, quarant’anni, potrebbe avere la voce di Lavelle, e invece ne ha esattamente il doppio….
Ascoltare questi artisti, dicevo, è un’esperienza che difficilmente si dimentica.
Ho nominato solo alcuni degli ospiti del Porretta Soul Festival , ma tutti sono stati grandi.
E, mentre li guardavo, e li ascoltavo e mi rigeneravo, ho pensato che mi sarebbe piaciuto più che mai conoscere bene l’inglese, per potermi far raccontare da loro la storia della loro infanzia. Non so perché mi è venuto in mente: soprattutto degli afro-americani mi piacerebbe sapere la storia. Penso a Lavelle, nata nel 1930: come è stata la sua infanzia, in un Paese dove ancora vigeva la segregazione razziale? Non certo facile, io credo, non certo gioiosa… Eppure oggi, nel 2010, è proprio gioia che si avverte ascoltandola, perché è lei che la trasmette… Sì, mi piacerebbe proprio scrivere dell’infanzia di questi artisti… Per molti penso che la parola “riscatto” sarebbe davvero adatta.
E poi. E poi il pubblico, in completa sinergia con cantanti e musicisti, fino a formare un’unica entità. Pubblico anagraficamente il più vario possibile, e anche questa cosa a me sembra bellissima. E’ anche il pubblico che rende questo Festival del tutto speciale.
E fra il pubblico, come ogni anno, ho ritrovato gli amici che, come me, mai rinuncerebbe a esserci, a Porretta: Ana Maria e Ermanno di Trieste, Ezio di Chiavari, Alessandro e Alberto di Torino (e con loro la piccola Karola con la sua mamma), Loretta di Cesenatico. Non ci si mette mai d’accordo, su come e dove incontrarci. Ma io lo so che saranno tutti lì, seduti sulla prima gradinata del Rufus Thomas Park, proprio davanti alla parte centrale del palco. E’ così, ogni anno. Un altro motivo di gioia, anche questo. E approfitto, ora, per salutarli con un abbraccio
In conclusione voglio ringraziare con tutto il cuore l’ideatore del Festival: un uomo, un mito! Ovverosia: Graziano Uliani !
Senza di lui, queste sorsate di gioia di mezza estate, non le avremmo potute bere.
E un grazie anche a Rick Hutton, storico e travolgente presentatore della manifestazione: il suo italiano sembra peggiorare ogni anno, in un tracciato inversamente proporzionale alla sua simpatia.
Forse ogni anno, nel post dedicato al Festival, metto sempre la stessa canzone. Ma è una delle mie canzoni preferite in assoluto. E rieccola, quindi:
Otis Redding: The dock of the bay
P.S.: oggi ho pubblicato pure un altro post. Leggetelo, è il precedente a questo…
standing ovation!
Giuro che il prossimo anno ci sarò … manco da troppoMy life is in blues
…e non poteva non essere così come da veterana complice di tanto spettacolo hai scritto e descritto.Grazie Milvia per la gioia e anche l'invidia che mi hai trasmesso."body and soul…for ever".Franco
Grisby: Ne vale sempre e assolutamente la pena!Ciao!Milvia
Franco: credo che piacerebbe molto anche a te, il Soul Festiva!Ciao e buon fine settimana.Milvia