Che la fotografia del cadavere di Bin Laden faccia il giro del mondo, a me, a dirla tutta, non interessa molto. Che “fotografia sì”, “fotografia no”, sia l’argomento che ha occupato in questi ultimi giorni le prime pagine dei giornali, mi sembra assurdo. Ma forse sono superficiale, io. Non ho ancora capito che sono tempi, questi, di corpi esposti. Nudi o vestiti, plastificati o morti, riesumati o corrotti.
Non so (e chi lo sa, d’altra parte, se non i protagonisti della vicenda?) cosa sia accaduto veramente. Contraddizioni e punti oscuri ce ne sono, nella narrazione dell’uccisione di Bin Laden, e non è certo attraverso una fotografia che si può appurare la verità, dato che ormai una fotografia non è più la rappresentazione del reale, ma può essere alterata, manipolata, falsificata in ogni sua parte. Comunque non sono qui per ripetere cose che sono state dette e scritte da persone più autorevoli di me, non starò a esprimere i miei dubbi, le mie perplessità su una vicenda che, ripeto, così come ci è stata raccontata, ha parecchie ambiguità.
Volevo invece parlare di pietà, sentimento che, ancora una volta, mi pare quasi completamente assente nelle cronache di questi giorni. Beh, onestamente faccio fatica anch’io a provare una genuina pietà per Bin Laden, anche se non ho esultato per la sua morte, perché per nessuna morte si deve esultare, e perché anche il peggiore criminale ha diritto a un processo.
L’argomento è stato affrontato questa mattina da “Tutta la città ne parla”, la bella trasmissione di Radio3 condotta da Giorgio Zanchini. Mi ha fatto piacere che non si sia parlato solo di ” foto sì, foto no”, ma si sia discusso anche di pietà, o, come ha detto giustamente un ospite, di Pietas. Perché, ok, esultiamo pure per la morte di un assassino, se siamo convinti (a torto, a mio avviso) che la sua fine possa essere di risarcimento al dolore che i suoi crimini hanno provocato, (e posso arrivare anche a giustificare l'esultazione dei famigliari delle tremila vittime dell’11 settembre), ma pensiamo un attimo, anzi, pensiamo a lungo a quella ragazzina di dodici anni che si è vista uccidere il padre sotto gli occhi. Se questa tragedia facesse parte di un “normale” fatto di cronaca nera, se fosse stato il figlio di un cittadino “normale” ad assistere all’assassinio del padre, come è infatti è capitato più di una volta, proveremmo pietà e sconforto, per quel bambino. Invece, chi se ne frega della figlia di Bin Laden? Figlia di un terrorista, generata dall’uomo che è stato definito, per un decennio, come “il male assoluto”, è andata incontro a un giusto destino, no?
No, no, nella maniera più assoluta. Io credo che la stessa pietà, lo stesso sconforto che proviamo per un qualunque bambino che si sia trovato in una situazione analoga, la dobbiamo provare anche per questa ragazzina, per il terrore che deve aver provato in quel momento, per il suo dolore, per il suo sgomento. Per aver vissuto quei minuti che le rimarranno per sempre appiccicati addosso, che occuperanno i suoi incubi, le sue notti. Perché per lei, quello che tutto il mondo occidentale considerava “il male assoluto”, non era nient’altro che l’uomo che le ha dato la vita.
Ma lasciamo il Pakistan, con le sue ombre, e arriviamo in Libia.
Ancora bambini: il maggiore aveva tre anni, il mediano due, il più piccolo appena quattro mesi. Sono stati uccisi dalle forze Nato domenica 1’maggio. Unica colpa: essere i nipoti di Gheddafi. Anche per loro, e, certo, anche per le loro madri, credo che dobbiamo provare un sentimento di pietà, di Pietas…
Mi direte: ne muoiono tanti, di bambini, nelle guerre. Purtroppo è vero, purtroppo è una verità atroce, questa. Ma, almeno, per la loro morte, per la morte di quei piccoli il cui nome non viene riportato dai giornali, perché non sono parenti di terroristi o di dittatori, non si esulta, ma al contrario, ci si rattrista.
Un bell’articolo su questo argomento lo ha scritto Isabella Bossi Fedrigotti. Non condivido spesso le sue idee, ma questa volta non posso che essere con lei.
Se volete, potete leggerlo qui: Quelle piccole vittime collaterali ,l'articolo.
Io credo che, al di là di ogni considerazione storica, politica o cronacistica, i veri nemici assoluti siano la mancanza di pietà, siano la disumanità e l’indifferenza. E la fotografia, quella reale, quella non manipolata da alcun programma di photoshop, la fotografia della società in cui viviamo, quella sì, che è davvero improponibile, per poter essere pubblicata.
Un po' di perplessità, forse di smarrimento, alberga sicuramente in questi giorni presso chi ha conservato un po' di spirito critico nei confronti delle pseudoverità, rivelateci come dogmi, dal sistema mondiale dell'informazione, anzi della disinformazione.
Per me era un fatto tranquillamente consolidato, parallelamente e conseguentemente alle abbondanti prove della macchinazione "altra" dell'11 settembre, che Bin Laden, così come Al Qaeda, fosse un fantoccio, un burattino, un personaggio dei fumetti, utile alla bisogna, ma probabilmente nella sua realtà di persona fisica già morto (come fortissimi indizi lasciavano presumere).
Lo smarrimento, dicevo, è un po' inevitabile, di fronte a questa improvvisa resurrezione e "rimorte", ma soprattutto di fronte alla lettura degli ultimi anni, così maledettamente, assurdamente simile a quanto hanno voluto farci credere, che sembrano riproporci quasi tutte le fonti informative, anche quelle che si pensava un po' disincantate.
Fai bene tu, cara Milvia, di fronte a questa situazione, a riportare il discorso su basi essenziali, di umanità, di pietas.
Perché sulla avvenuta trasgressione ad esse non c'è discussione, né possibile perplessita; sicuramente smarrimento sì, ma di altro genere.
E quella fotografia, che non vorremmo mai vedere, quella con cui concludi il tuo bel commento, fa paura, proprio come le bombe di una guerra di predominio e distruzione planetaria.
Franz
se Franz me lo permette, sottoscrivo in toto il suo commento.
avrei detto esattamente le stesse cose.
e lui le ha dette molto meglio di quanto avrei fatto io.
ciao a entrambi
cri
Franz: L’unica certezza che possiamo avere, intorno a questo avvenimento e a tanti altri che si sono svolti negli ultimi decenni (o, meglio forse dire da quando “pochi” hanno preso il potere su “molti”, cioè da sempre) è che non abbiamo certezze, che la verità viene manipolata, nascosta, alterata. E se ricercare più informazioni possibili è un nostro dovere/diritto, non è detto che poi si arrivi a sapere come veramente siano andate le cose, e così continueremo sempre a essere preda dello scetticismo, dello smarrimento. Certo, sarebbe più facile accogliere ciecamente e ottusamente le versioni ufficiali, senza porci tante domande (e molti lo fanno), ma se ci riteniamo esseri pensanti, non possiamo intraprendere la strada più facile.
Grazie, caro Franz, del tuo contributo, che, ancora una volta, rivela la profondità e l’onestà del tuo pensiero.
Buona domenica!
Milvia
Cri: Credo che Franz te lo permetta, anzi penso sia contento della tua condivisione.
Un abbraccio, cara Cri.
Milvia