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Alla mia veneranda età sono tornata di nuovo a scuola (dalla serie: Non è mai troppo tardi…). Ma il mio maestro non è Alberto Manzi (sarebbe una cosa impossibile, a meno che le lezioni non si svolgessero durante una seduta spiritica), ma è Paolo Nori, e la scuola è, appunto, la Scuola Media del maestro Paolo Nori. Dove si leggono bei libri, e poi se ne discute, e, come in qualsiasi scuola della Repubblica si fanno anche i compiti. Che c'è anche una cosa buffa, da dire: infatti, dato che la scuola è frequentata anche dal mio figliolino, io, dopo tantissimi anni, mi ritrovo a chiedergli: Alex, hai fatto i compiti? Ed è già tanto che lui non mi mandi a quel paese. Perchè è educato, il figliolino, e certe cose magari le pensa, ma non le dice, alla sua mamma.
Comunque, non sapendo cosa scrivere, nel nuovo post, ho pensato di fare un bel copia-incolla e proporvi il mio compito di lunedì scorso. Il titolo è:
Un fatto storico al quale hai partecipato
Il mio sottotitolo è
Misteri
Me lo ricordo, stavamo mangiando il minestrone, quella sera. Mio figlio no, che era da quando aveva due anni, che mangiava solo yogurt, e neanche la gatta Titti, che da quando era incinta mangiava solo riso e olive. A un tratto i piatti i bicchieri e tutto quanto, lì sulla tavola, cominciano a tintinnare e dico a mio marito: smettila con quella gamba, perché lui ha l’abitudine di far ballare una gamba, quando è seduto. Ma poi tutti alziamo gli occhi ed è il lampadario che invece sta ballando, oscillando, destra sinistra sinistra destra, come un pendolo. Il terremoto, diciamo, e non abbiamo ancora finito di dirlo che suona il campanello ed è la vicina che, per una volta. non deve inventarsi scuse per intrufolarsi in casa nostra, e anche lei a urlare: il terremoto!
Lo zio Arturo allora si tirò su dalla sedia con l’agilità di un ragazzino e la sedia, cadendo, fece un fracasso che ce l’ho ancora negli orecchi. Poi si precipitò fuori dalla porta, travolgendo quasi la vicina e io pensai: miracolo, non ha più la gamba tinca! E ripetei: miracolo! quando sentii il rumore dei suoi passi velocissimi scendere le scale.
Dai, andiamo giù anche noi, dice mio marito, prendendo in braccio Alex, che nel trambusto continua tranquillamente a mangiare il suo Yomo doppia panna al miele. Mentre cerco le chiavi mi viene in mente la gatta Titti, se la famiglia scende deve scendere anche lei, che mica è figlia di un povero asciugamano, la Titti… Ma la Titti non c’è, la chiamo, ma non arriva, la cerco per l’appartamento, ma neanche l’ombra di una gatta nera, incinta e divoratrice di olive. In realtà, non mi preoccupo molto, se fosse in me non scenderei nemmeno, che vuoi che sia una scossa di terremoto.
Di sotto trovo qualche vicino, e diversi tedeschi, i primi turisti di maggio. Meglio andare in spiaggia, dice qualcuno, così se ce n’è un’altra e crolla tutto non rimaniamo sotto. Già, nel ’76 non sapevamo niente di tsunami…
Così ci avviammo tutti verso il mare, con lo zio Arturo che la gamba tinca l’aveva ancora e si appoggiava a Enzo e una signora che non faceva altro che ripetere: ah, io i soldi li ho presi con me, mica sono scema, io! E la vicina che blaterava: che disgrazia che disgrazia, e io capivo ancor meno lei che i tedeschi che parlavano fra loro e io il tedesco non lo so. E Alex che diceva: mamma, posso dirti una cosa? (perché è così che iniziava ogni suo discorso) che cosa è il tremorto? E subito dopo urlava: il foglietto, il foglietto dei coloranti! Lo abbiamo lasciato in casa!
Ecco cosa stavamo facendo quando era arrivata la scossa: gli stavo leggendo per l’ennesima volta l’elenco dei coloranti nocivi e messi al bando, tutte quelle E seguite dai numeretti, perché lui era un bambino così, mio figlio, a neanche quattro anni. Voleva sempre essere al corrente di tutto, capire tutto e se sentiva una notizia in tv ne voleva discutere e voleva capire. E in quei giorni non si faceva che parlare di coloranti.
Stai tranquillo, gli dico, lo abbiamo lasciato sul tavolo, quando torniamo su lo troviamo. E mi metto a spiegargli che cosa è un "tremorto", cercando di non spaventarlo.
In casa ci ritornammo dopo un’oretta, mi sembra di ricordare. La vicina diceva che era meglio rimanere all’aperto, quella notte, e stare svegli, che le disgrazie capitano quando dormi, diceva, ma ci seguì, con la malvagia intenzione, già lo sapevo, di entrare in casa e piazzarsi sul nostro divano a cianciare di morti ammazzati e altre simili amenità, che era il suo passatempo preferito entrare in casa nostra, piazzarsi sul divano e parlare di morti ammazzati. Ma arrivati al piano (prendiamo l’ascensore, aveva detto lo zio Arturo, che io con questa gamba a far le scale non ci riesco), arrivati al piano, dicevo, alla vicina demmo la buona notte e le chiudemmo la porta in faccia.
Feci fatica ad addormentari, quella notte fra il 6 e 1l 7 maggio 1976. Le notizie sul terremoto che aveva colpito il Friuli erano ancora frammentarie, si parlava di pochi morti, ma non potevo fare a meno di pensare che se la scossa l’avevamo sentita così forte noi, a così tanta distanza, doveva essere stato un terremoto devastante. Povera gente, pensavo.
Pensavo anche che quella sera era stata una sera di misteri, in casa Gasperoni. Tre, per l’esattezza.
La gamba dello zio che per qualche minuto aveva dimenticato la ferita di guerra, il foglietto dei coloranti, che non era più sul tavolo, e non era da nessuna parte dell’appartamento (e che non avremmo trovato mai più, neanche quando traslocammo) e la gatta Titti.
Sì, perché la gatta Titti, con il pancione che le tremava, l’avevamo finalmente trovata dentro un mobile di cucina, fra pentole e padelle. E come avesse fatto ad aprire lo sportello e poi a rinchiuderselo dietro, ecco questo era il terzo mistero. Insoluto, come tanti altri.
Soprattutto dopo aver visto questo
Video
un po’ mi vergogno del tono leggero di questo “raccontino”. Eppure, i ricordi più vivi che ho di quella sera sono questi. Perché, comunque, ai grandi avvenimenti della storia, alle tragedie che colpiscono persone che non conosciamo, si intrecciano sempre piccole storie delle nostra banale quotidianità, e finiscono, queste, ad avere prevalenza nella personale agenda della memoria di chi, dalla tragedia, è stato appena sfiorato.
Brava. 7 +
E il maestro unico Paolo Nori che voto ti ha dato?
Scherzi a parte, è un piccolo resoconto delizioso.
'notte.
Mirella
Sempre piacevolissimo leggerti, bello questo tono "leggero" di cui parli, perché vergognarsi un po', come dici? Chi è sensibile e profondo come te può benissimo permettersi di scrivere con "leggerezza" e usare un tono scherzoso.
Ciao, cara, buona notte.
Piera
Non c'è davvero di che vergognarsi, cara Milvia, di questo bel racconto, che non è per nulla leggerino, ma piuttosto sommessamente rivolto al ricordo e ad una quieta malinconia. I resoconti urlati e strappalacrime sulle grandi tragedie lasciamoli alla cronaca, la narrativa è altra cosa…
Di quell'evento anch'io ho un ricordo buffo: era sera e cominciarono ad arrivare le prime notizie in TV, confuse e imprecise; sembrava che il terremoto avesse colpita l'area a nord di Milano (dove vivevo io), si parlava di gente terrorizzata per le strade… Mia moglie ed io, che non avevamo sentito nulla (ma abitavamo al pianterreno) ci guardammo in faccia e andammo alla finestra: fuori era tutto assolutamente tranquillo, e concludemmo che si trattasse della solita pirlata dei giornalisti.
Solo l'indomani ci rendemmo conto del disastro immane che era effettivamente successo; ma in Friuli e non in Lombardia…
Un abbraccio, tuo
Cosimo
Parto dalle tue conclusioni che condivido in pieno, ma che, come aforisma o metodo critico, non saprei ripetere bene con parole mie. Il racconto, vivo e intrigante, sottolinea comunque il timore che le scosse di terremoto di una certa consistenza – ma forse anche quelle più leggere – suscitano in genere. E il riferimento storico al cataclisma che colpì il Friuli apre dolorose memorie.
Adriano Maini
grazie Milvia di essere stata con noi!
mi ha fatto tantissimo piacere rivederti e brava!
Scusare, cari amici. Per ora vi ringrazio per i commenti, ma rimando le risposte, perché sono molto stanca, devo andare subito a dormire, perché domattina mi devo alzare prestissimo.
Milvia
Mirella: il maestro unico Paolo Nori è molto molto severo. Giustamente severo.
Grazie, Mirellina!
Milvia
Piera: meno male che ancora non mi ha abbandonato la voglia di leggerezza….Deve essere una sorta di auto-aiuto…
Un abbraccio a te e un saluto alla tua bella Isola.
Milvia
Cosimo: grazie anche a te, caro Cosimo, grazie anche per aver condiviso con noi il tuo ricordo di quella sera.
Un abbraccio.
Milvia
Adriano: forse solo questi avvenimenti tragici, ma anche quelli gioiosi (in questo momento, però, non me ne viene in mente nessuno, di gioioso, se non essere diventati Campioni del mondo, che è un po’ effimera, però, questa gioia) ci fanno sentire un popolo unito. Per il resto del tempo, al di là dei festeggiamenti a volte un po’ retorici e pomposi del centocinquantenario, non è che lo siamo tanto, mi sembra.
Grazie del tuo bell’intervento. Buona serata.
Milvia