(Paolo Nori con Marino Sinibaldi a Fahrenheit, in onda dal Salone del libro di Torino, il 15 maggio 2011)
Che cosa resta dei quattro giorni trascorsi al Salone del Libro? Un caleidoscopio di visi, parole, abbracci, suoni, rumore, tanto rumore, passi, luci. E il tutto, nella mia testa si miscela, e inserirlo in una struttura logica, in uno scaffale dove ogni cosa trovi ordinatamente il suo posto, è, per me, praticamente impossibile. Così potrebbe accadere che, se riportassi citazioni ascoltate, rischierei di attribuirle a chi non le ha pronunciate. Ho, è vero, preso appunti sul mio quadernino, ma ora, rileggendoli, li trovo talmente caotici che non mi ci raccapezzo affatto.
Ecco, per prima cosa (perché è stata la prima cosa che ho fatto) mi vien da dire: evviva la nuova linea metropolitana che da Porta Nuova, in cinque minuti, mi porta al Lingotto! Anzi, evviva la nuova linea metropolitana che dal Lingotto mi riporta, in cinque minuti, a Porta Nuova. Gli altri anni, per rientrare in albergo, unita alla stanchezza, c’era sempre la difficoltà di non sapere dove l’autobus si fermasse, se si fermasse e quando si fermasse. E mica capitava solo a me, che a volte mi sento un po’ imbranata…
Poi ripenso al frastuono. Il Salone del libro è uno dei posti più chiassosi che mi capita di frequentare. E pensare che la lettura la associo al silenzio, appena interrotto dallo shhh dello sfogliare delle pagine. Ma al Lingotto, il silenzio è l’isola che non c’è. Si accavallano presentazioni in luoghi piuttosto vicini, e le voci degli scrittori sono amplificate dai microfoni, e poi le postazioni di radio e tv, con il sonoro attivato, è logico, e il continuo brusio emesso dai visitatori, come api in un alveare.
E questo mi sembra l’unico aspetto negativo, del Salone. Anzi, non è vero, ce n’è un altro che mi infastidisce abbastanza: cosa c’entrano con i libri e con l’editoria i sempre più numerosi stand che vendono pupazzetti, porta-chiavi, addirittura cosmetici, e mille altri oggettini alquanto bruttarelli, anche, e che non servono, secondo me, assolutamente a nulla? Sono antiestetici, quegli stand…
Però… insomma, alla fine l’esperienza, come sempre, è stata positiva. Riabbracciare tanti amici, conoscerne di nuovi, “vedere” Radio3 in diretta con due trasmissioni che amo, come Alza il Volume e Fahrenheit, e, domenica sera, ridere e commuovermi ascoltando le letture di Paolo Nori accompagnate dai canti delle mondine di Novi, son cose che ripagano abbondantemente il frastuono e gli stand intrusi. E poi… poi l’acquistare libri. Già: pensavate che non ne avessi acquistati? Impossibile non cedere alla tentazione, per me. E il Salone è una gigantesca calamita che attira in maniera inesorabile il mio “vizietto”.
Così, giusto per allungare un po’ questo mio scritto (ma anche curiosa di sapere chi di voi ha letto qualcuno di questi romanzi) ecco la lista della spesa:
Alessandro Berselli: Non fare la cosa giusta (Perdisapop)
Carlo Cannella: Tutto deve crollare (Perdisapop)
Gaja Cenciarelli: Sangue del suo sangue (Nottetempo)
Massimo Maugeri: Viaggio all'alba del millennio (Perdisapop)
Carlotta Mismetti Capua: Come due stelle nel mare (Piemme Voci)
Michela Murgia: Ave Mary (Einaudi Stile Libero Big)
Zachar Prilepin: Patologie (Voland)
(questo non l’ho acquistato, ma mi è stato gentilmente donato dalla redazione di Fahrenheit).
A dir la verità ne avrei voluti acquistare molti altri. Ma ho chiuso gli occhi, ho stretto i pugni e mi son detta: resisti, resisti, resisti. E, in parte, ha funzionato.
So che alcuni dei miei lettori (se c’è ancora qualcuno che continua a leggermi…) si aspettavano un mio resoconto torinese dettagliato e stimolante. Ebbene, non farò nessun resoconto, mi spiace. Sarà l’età che avanza, sarà che la memoria che vacilla, sarà che diversi impegni si accumulano, restringendo il tempo da dedicare al blog, ma, per quanto riguarda la mia trasferta torinese, mi fermo qui. Brutto post, questo. Da cinque meno meno, direi.
Meglio che andiate a visitare questo,allora, che è il blog che su Repubblica tiene Alberto Sebastiani, e che parla anche del Salone.
O a leggere questo post , che almeno vi regalerà emozioni.
Che cosa resta? è il titolo del mio post. E
Que reste-t-il?
è la canzone con cui vi lascio, augurandovi buon fine settimana.
E invece i tuoi appunti dal salone del libro io li trovo bellissimi.
Ho sentito suoni, visto luci, volti e… piedi. Trovo assolutamente geniale la serie di fotografie sulle calzature dei noti e meno noti partecipanti al salone che hai pubblicato su facebook. Non avevo mai riflettuto su quanto le nostre estremità e come le calziamo raccontino agli altri di noi, cosa che gli esperti di moda sicuramente sanno benissimo.
Mi sono divertita a vedere chi privilegia la comodità prima di tutto; chi però non rinuncia a un tocco di femminile vivacità; chi , in fondo ad austeri jeans, mette in mostra piedi curatissimi e femminili, e, tra gli uomini, chi predilige l'eleganza classica di un mocassino inglese e chi invece eleganze più "in" di calzature moderne…
Scusate l'anonimato involontario del commento sopra.
L'ho scritto io, Mirella
Chiedo scusa a tutti se ancora non ho risposto ai tutti i commenti, anche i più vecchi. Chi mi conosce sa che è mia abitudine farlo. Stavo infatti per mettermi a rispondere ora, quando ho saputo che un mio caro, amico è scomparso. Sono sconvolta, e non mi sento di scrivere altro, per ora
Milvia
bel post, mi dispiace tanto per il tuo amico.
vive condoglianze
Mi mancavi e il tuo racconto sul salone che non ho visto ,per la prima volta , dopo una vita, mi fa sentire di esserci stata con amici e ragazzi.Grazie , il tuo tocco è sano.Tinti
Mirella: sei sempre troppo generosa, con me, come ti dico sempre. Se tu aprissi un blog (dai, potrebbe essere un’idea!) avresti un sacco di fan, perché tu sì che sei brava a raccontare le cose.
La cosa di fotografare scarpe, ti dirò, è nata solo perché mi ero annoiata di fotografare visi. Ma mi sembrava una sciocchezza… E invece, quell’album, su facebook, ha avuto un buon successo… Bella la tua considerazione che le scarpe possono rivelare la personalità… Io porto scarpe quasi sempre a tacco basso: che cosa vorrà dire?
Ciao!
Milvia
Tinti: Grazie, cara amica. Magari, il prossimo anno ci mettiamo d’accordo per incontrarci! Un abbraccio.
Milvia
Piadellamura, Phederpher: Grazie.
Milvia