Oggi… riciclo

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Oggi ripesco un vecchio post. Mi piace riciclare, ogni tanto.

Lui ha i capelli candidi, folti, il viso dal colorito roseo. Ha gli  occhi azzurri, limpidi.
Lei è minuta, i capelli neri, gli occhi scuri, da monella.
Stanno seduti uno davanti all’altra. Ma di loro non mi sono accorta subito.
Entro nello scompartimento, irritata per il ritardo del treno, mezzora ad aspettare sul marciapiede, al freddo.
Saluto, senza neppure guardarli i miei compagni di viaggio.Sistemo il piccolo bagaglio, mi siedo, tiro fuori il libro dalla borsa, mi metto a leggere.
Poi mi distrae l’arrivo del capotreno, che entra nello scompartimento e dice: Avete bisogno dell’assistenza anche all’arrivo come l’avete avuta alla partenza? E una voce gentile risponde: Sì, se c’è è meglio.
Ma l’avete chiesta in anticipo? chiede il capotreno.  
No, non l’ho chiesta.
Allora niente, dice il capotreno, nessuna assistenza. Dovevate chiederla.  Non è sgarbato, il capotreno, ma è deciso. Mi viene in mente la parola "asettico".
Adesso si è calmata, dice la voce gentile, spero di farcela da solo.
Allora alzo gli occhi dal libro e guardo a chi appartiene la voce gentile.
Un uomo dai capelli bianchi, folti. Davanti a lui una donna, minuta, i capelli neri, gli occhi da monella.  Marito e moglie, penso. Da chissà quanti anni.
Poi, lui, comincia a parlare.
È da quando ci è morto il bambino più grande, dice, che lei ha cominciato a star male. Nell’83.
Capirò poi, più avanti, che, quello che con tenerezza lui chiama bambino, era il suo primogenito, morto a trentaquattro anni.
Prima erano solo piccole cose, dice, poi è peggiorata sempre di più, adesso è come una bambina, come una neonata.  Ha perso tutti i ricordi, parla tanto, ma segue delle cose sue, che non capisce nessuno. La vita è bella, vero?
Lo ascolto, e lo ascoltano i tre giovani che dividono con me lo scompartimento, un ragazzo e due ragazze. Non sappiamo che dire. Cosa si dice, in queste occasioni?  Credo che tutti e quattro cerchiamo di manifestargli solidarietà attraverso lo sguardo.
E poi dice tanto altro, quel signore: della prigionia ad Auschwitz, solo quindici giorni, dice, poi mi hanno mandato fuori, a tagliare alberi. Ma mi ricordo i forni, mi ricordo tutto. È un miracolo che io sia scampato. Quando vedo alla televisione i documentari, mi ritrovo lì. Io le ho visto davvero quelle cose. E avevo vent’anni.
E racconta di quando ha conosciuto lei, sessantadue anni fa, lei che era bella e vivace e istruita.  Lei che è stata sempre la sua spalla, nella vita e nel lavoro. Fino a quella perdita, nel ’83, quando è morto il loro primo bambino.
E racconta dei figli, quello che non c’è più e quello più piccolo. Che non vede da anni. Perché con i figli, tutti e due, ci sono sempre stati problemi, dice.  Cattive compagnie, aggiunge.
Per lei, dice (e forse è la prima volta, da quando ha iniziato a parlare che la voce sa di pianto represso) delle volte non sono il marito. Non mi riconosce, non vuole che l’aiuti. Adesso devo tenere sempre chiusa la porta a chiave, perché lei è scappata tante volte.  È così l’alzheimer, dice.
Lei, intanto, la moglie, si è messa a parlare con il ragazzo che le sta seduto vicino. Parla con voce cantilenante, che fluisce senza interruzione. Parla in dialetto, un dolce dialetto del nord,  e non riesco a capire quello che dice. Tiene una mano del ragazzo fra le sue, con le dita gli traccia dei segni sul dorso della mano, gli sorride, e intanto ci guarda, sempre con quell’aria da monella. Gli accarezza i capelli, al ragazzo. Anche lui le sorride e l’ascolta senza dire niente.
Chiedo: Ma non vi aiuta nessuno?
No, lì dove abitiamo (e quella è una città bellissima, io penso, con un sindaco molto conosciuto) non ci aiutano, o almeno ci aiutano poco.  Per questo ora andremo ad abitare in un’altra regione, in un’altra città, in centro Italia.  Ci sta mio nipote, lì, il figlio di mio figlio grande. Mio nipote è spastico, dice. È nato così.
La signora, intanto, si è tolta una scarpa, si è sfilata il gambaletto azzurro di lana e dondola la gamba nuda.  Ci guarda, gli occhi sempre più birichini.
Il marito si china, cerca di rimediare, ma lei si sottrae. Lui la guarda, la guarda con amore. Da nessuna delle parole che ha detto fin'ora è mai emersa insofferenza, rabbia. Rassegnazione, accettazione, piuttosto.
Dico: Ma così prende freddo, signora, meglio rimettere tutto. Mi guarda, sorride, e mi chiama dottoressa. Mi alzo, mi avvicino, mi chino e le infilo la calza. Penso che l’ultima volta che ho infilato una calza a qualcuno è stato a mio figlio, quando era piccolo. Provo tenerezza, ma anche una grande tristezza. E poi paura, per me, per il mio futuro. Mi vedo in lei, in quella bimba di ottanta anni e passa.

Il treno rallenta, sta entrando nella stazione di Bologna.  Il ragazzo, le due ragazze e io salutiamo la coppia. Do la mano a lui, gliela stringo forte, a lei faccio una carezza sulla guancia. Dico: Buona fortuna, anche se mi sembra quasi grottesco, quell’augurio. Il gentile signore dagli occhi limpidi mi dice: Non scriva niente, di quello che ho detto. Rimango annichilita. Non ho detto assolutamente nulla, di me, tanto meno ho detto che amo scrivere…  

E invece questa storia la sto raccontando nel blog (e oggi per la seconda volta)  disattendendo il desiderio del mio compagno di viaggio. La storia che ho ascoltato in un giorno d’inverno del 2010,  su un ritardatario treno che mi riportava a casa.  Una storia di solitudine e di dolore. Ma soprattutto una storia di amore e di coraggio.

Credo che ci stia bene, ora, una delle più belle canzoni d'amore mai scritte.

La cura

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7 risposte a Oggi… riciclo

  1. Gemisto ha detto:

    Mi hai commosso

  2. anonimo ha detto:

    Anche io mi sono commossa per il tuo racconto e per la musica.Grazie Milvia.Tinti

  3. anonimo ha detto:

    "Segue delle cose sue".
    Di tutto il toccante racconto in presa diretta, credo che la chiave di lettura più appropriata sia quella breve e semplice frase, del linguaggio parlato.
    La tenerezza è immensa, al pensiero di questa donna che, per non essere sopraffatta anche fisicamente dal dolore, ha cambiato i parametri di comunicazione con il mondo, segue delle cose sue, e le esprime, senza preoccuparsi che davvero possano essere capite.
    Il vero abisso di dolore, vissuto coscientemente e senza strategie difensive, è in quell'uomo e nella sua dignità.

    La tua bella pagina ci interroga, ancora una volta, sull'ingiustizia e la sofferenza, interrogativi a cui non credo si possano dare risposte convincenti.

    Franz

  4. anonimo ha detto:

    Quando ho iniziato a leggere pensavo fosse un tuo racconto, poi ho capito che era una storia vera, quanti modi ci sono per reagire al dolore…gli umani possono essere davvero strani….è bello quello che ti è capitato, bello nel senso della particolarità della cosa della sua umanità…mah mi rendo conto che non riesco a dire niente di sensato, aggiungo solo che quello che riporti mi ha fatto venire in mente il film che ho visto da poco L'albero della vita di Malick.
    un abbraccio MIlvietta, sei brava a raccontarci le cose
    maria

  5. Soriana ha detto:

    Piero, Tinti: in effetti è una storia commovente, che ha lasciato in me un segno profondo. Penso spesso a quella coppia, a quell’uomo pieno di coraggio, e alla sua vecchia moglie bambina. Mi chiedo come stiano vivendo…  Se sono riuscita a trasmettervi un poco della mia emozione, sono contenta.
    “La cura”, insieme a “Povera Italia”, è una canzone che ho proposto diverse volte, nel mio blog.
    Vi abbraccio e vi ringrazio.
    Milvia

  6. Soriana ha detto:

    Franz: È vero, Franz. Quella signora, un tempo bella, vivace e istruita si è creata un nuovo linguaggio, tutto suo, sia verbale, accostando parole probabilmente senza senso,  che gestuale. Mentre l’osservavo parlare con il ragazzo, tracciare segni con le dita sulla sua mano, mi sembrava che stesse praticando una sorta di magia. Era… non so,  era come se gli stesse facendo un dono, mi vien da pensare ora.  Lui, il marito, mi verrebbe da chiamarlo eroe, perché davvero ci vuole eroismo per continuare a sopravvivere a tutte le prove cui la vita l’ha sottoposto e continuare ad avere uno sguardo così limpido. Di questi eroi, purtroppo, non ne parla mai nessuno, e nessuno gli applica medaglie sul petto o alla memoria.
    Ciao, Franz.
    Milvia

  7. Soriana ha detto:

    Maria: “è bello quello che ti è capitato”… Hai ragione, Maria. È molto sensato, quello che hai scritto. Perché è vero che è stato un bell’incontro, quello, che mi ha insegnato e, nel ricordarlo, mi sta ancora insegnando qualcosa. Amore, coraggio, dignità esistono ancora, in un mondo che sembra aver perduto ogni senso di umanità.
    Non ho visto L’albero della vita, ma ho letto la bella recensione che ne hai fatto sul tuo blog.  Quando lo vedrò cercherò di capire meglio le similitudini che tu hai trovato.
     
    Un abbraccio, Maria cara.
    Milvia

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