Mantova, 9 settembre 2011
La signora dell’edicola vicino a Piazza Concordia mi dice: Mantova è una città fantasma. Da lunedì, qui in centro, non si vedrà più nessuno. Sono fatti così, i mantovani. Se ne stanno chiusi nelle loro casette e non vogliono confusione. Non c’è niente, qui, a parte il Festivaletteratura. Che a molti mantovani non piace, li disturba, e c’è anche chi, durante queste giornate, se ne va via dalla città.
Sono sempre più numerosi i negozi che chiudono, continua, credo che sia la città in Italia che ha il maggior numero di negozi sfitti, abbandonati. Lo dice con rabbia malcelata, con amarezza. È una signora vivace, intellettualmente vivace ed è tangibile come le pesi l’apatia e il disinteresse dei suoi concittadini verso la cultura. È una signora molto gentile, anche, cosa che non posso dire di altri esercenti, qui a Mantova. Con le debite eccezioni, naturalmente.
Peccato. Mantova è una città molto bella, belle le strade, le piazze, i palazzi che contengono splendide opere d’arte. E, in questi giorni di Festival, appare come l’ombelico del mondo culturale. Meriterebbe di non essere solo una bella addormentata, cui il destino concede solo pochi attimi di felice risveglio.
Se il protagonista della mia prima giornata mantovana è stato Luca Mercalli, Paolo Nori lo è stato della seconda.
Letture vintage è il nome dato a una serie di incontri che, cito quanto sta scritto sul programma del Festival, sono un’occasione per leggere, rileggere, ripensare libri che sono stati apprezzati da critica e lettori, ma che ora sono un po’ nascosti.
A Paolo Nori e Bruno Gambarotta è stato affidato il compito di…risvegliare due opere di Riccardo Bacchelli: Il mulino del Po e Il diavolo al Ponte Lungo.
A dir il vero mi sono meravigliata che questi due libri fossero diventati libri “nascosti”. Credevo fossero ancora ben svegli e che ben sveglia fosse la fama del loro autore. E questo la dice lunga sulla mia età…
Mentre del “Mulino” ci ha parlato Bruno Gambarotta, inframezzando le sue osservazioni con letture molto esplicative dello stile ottocentesco, ricco (forse troppo) di aggettivi, di descrizioni di luoghi, oggetti, personaggi, di periodi eccessivamente lunghi che si fa fatica a seguire (ma, alla fine, il giudizio che Gambarotta dà sul romanzo è altamente positivo), Paolo Nori ci ha parlato del Diavolo al Ponte Lungo. E ce ne ha parlato alla sua maniera. Parlando anche d’altro, apparentemente. E come sempre, in maniera non saccente, ma naturalissima, viene fuori la sua visione etica della vita, che riesce a scavare nel profondo delle coscienze di chi lo ascolta.
Il Diavolo al Ponte Lungo, dice, faceva parte della biblioteca di mio nonno. L’ho letto da bambino, poi l’ho riletto da ragazzo. Il romanzo, dice, mi ha avvicinato all’idea anarchica . A chi pensa alla parola “anarchia” vengono in mente solo le bombe. Io credo, invece, continua Paolo Nori, che l’idea principale che sta sotto questa parola è che l’uomo è buono. Il mutuo appoggio, fa sopravvivere la specie: l’altruismo, è la potenza delle specie. Dice anche che la vera canzone patriottica, secondo lui, è un canto anarchico: Nostra patria è il mondo intero.
Il secondo incontro che vede protagonista Paolo Nori (insieme a Francesco Cataluccio), si svolge nella chiesa di San Maurizio. Strano posto per parlare di Unione Sovietica e di un luogo chiamato Chernobyl. Strano posto, una chiesa, per sentire le letture di Paolo Nori. Ma forse no, forse è il posto giusto, forse tutti i posti sono giusti, quando le parole lo sono. O, per lo meno, quando sono espresse con onestà.
L’incontro è l’occasione per parlare del libro Un luogo chiamato Chernobyl ( Editore Sellerio) di Francesco Cataluccio. E di quello che è stata l’Unione Sovietica, e della percezione che noi ne abbiamo avuto, e che ancora ne abbiamo. Che forse, come quella dell’anarchia, che ci fa pensare agli anarchici come bombaroli, non corrisponde alla realtà, la svisa, la altera.
Ma qui il discorso si fa difficile, e non vorrei riportare in maniera errata le parole di Nori, ne ho troppo rispetto. Mi limito a scrivere, ancora una volta, che sempre, quando lo sento parlare, avverto una profonda onestà, nei suo dire. Che dà agli incontri che lo vedono protagonista uno spessore unico. Forse perché non scende mai a compromessi, non parla mai per avere l’applauso, o per strappare al pubblico una risata. Anche se la risata scappa, dietro alla frase che l’ha fatta scaturire c’è altro. C’è una visione delle cose a cui magari non avevamo mai pensato, ma che rimane impressa dentro di noi, e, se sappiamo mantenerla, ci può rendere anche migliori. D’altra parte, non è forse questo il compito di uno scrittore?
Avrei voluto parlarvi anche di qualche ospite di Fahrenheit, ma il post è già troppo lungo, e la batteria del mio Mac si sta esaurendo. Ne parlerò nei prossimi giorni.
Questa sera lascerò Mantova. Conto di tornarvi domenica.
Ancora prima dell’alba partirò per… Roma.
Ma questa è un’altra storia.
A presto!
P.S.: mi scuso se non ho ancora risposto ai commenti, alle mail ecc. Ma sono in situazione precaria, per quanto riguarda la navigazione…
Buon weekend
Leggere i tuoi post è un pò come viaggiare con te!
Buona domenica
Reportage vivissimo! Mi fa trascurare commentidi dettaglio.
Adriano Maini
Piero: Ti anticipo, per farmi perdonare il ritardo, augurandoti buon (prossimo) weekend!
Milvia
Aconito1: Che piacere avere compagni di viaggio come te! Grazie! Buon martedì!
Milvia
Adriano: Grazie, ancora una volta, Adriano!
Milvia