Il ritorno

L’auto comincia ad avere problemi, mentre stiamo percorrendo la tangenziale”.
Ho interrotto con questa frase la cronaca della mia bella esperienza pavese.
Da quel momento il venerdì  si è vestito di nero, togliendosi il  bell’abito colorato che aveva indossato fino a quel momento.
Va avanti a scatti, la macchina, e prima che si fermi definitivamente Alex la parcheggia sul bordo della tangenziale,  in modo che non costituisca pericolo per altri automobilisti, sistema il triangolo, chiude le portiere e poi incamminiamo nella notte buia (e per fortuna non tempestosa). La sua ipotesi è che si sia rotta la lancetta che segnala il livello della benzina nel serbatoio, pensa, insomma, che siamo rimasti a secco. È una vettura vecchia, poverina. Qualche acciacco è inevitabile.

Le auto sfrecciano velocissime accanto a noi, svumm, svumm, la pila che Alex tiene in mano illumina pallidamente il nostro percorso, e  mi fa pensare a una piccola lucciola stanca.
Cammina cammina cammina,  ogni tanto facciamo anche qualche battuta,  per allentare la tensione, e arriviamo finalmente nella zona industriale, brutta e squallida come tutte le zone industrialali di tutte le città del mondo. Ma in quel momento mi sembra bellissima: finalmente non siamo più al buio, e possiamo anche allontanarci dal ciglio della strada. E, quasi un miraggio,  ecco finalmente anche un distributore! E un gentilissimo benzinaio che ci procura anche un passaggio per ritornare alla macchina: il pensiero di farmi un’altra mezz’ora  abbondante di strada a piedi, in quelle condizioni non troppo sicure, non mi piaceva per niente. Il signore che ci accompagna si chiama Renzo.

O.K., ecco l’auto. “Grazie, signor Renzo,  le siamo veramente grati! Lei è gentilissimo! Buonanotte!” “Ma si immagini, signora! Fate buon viaggio!” E ci lascia con un bel sorriso.
La benzina scende nel serbatoio, io tengo la pila e Alex versa.  Annuso l’aria che si riempie di quell’odore che mi è sempre piaciuto. Ancora non sappiamo se è la sete di carburante  che ha costretto la vettura a fermarsi, ma è quello che ci auguriamo. Poi sento mio figlio che dice qualcosa tipo: oh, no! Seguo il suo sguardo: la pila illumina il finestrino del passeggero, o, meglio, illumina un vuoto, perché il finestrino non c’è più e c’è, invece, una miriade di pezzetti di vetro sul sedile, a terra, dentro e fuori. Sposto la pila a illuminare i sedili sul retro: la borsa che STUPIDAMENTE avevo appoggiato ai piedi dei sedili non c’è più.

I pensieri si accavallano: desolazione, rabbia, senso di colpa verso mio figlio, a cui ho chiesto di accompagnarmi nella mia trasferta. Poi l’inventario: macchina fotografica (con tutte le foto scattate quel giorno), chiavi di casa (per fortuna Alex mi dice: mamma non preoccuparti, ho con me il mazzo che mi hai dato), dieci copie del mio primo libro, cinque di quello nuovo, il libro di Loredana Limone che avevo portato da Bologna per farmelo autografare, il libro che mi ha regalato poche ore prima Simona Viciani, con le poesie di Bukowsky tradotte da lei, una bella preziosa biro che mi ha regalato un caro amico scrittore, occhiali da sole (e non proprio di quelli che acquisti dai cinesi), occhiali da lettura (fortunatamente molto economici, questi), agenda con appunti scritti negli ultimi anni, un vecchio barattolino che mi porto sempre appresso per buttarci i mozziconi di sigarette (valore economico zero, valore affettivo alto)… tutto sparito.

Ripuliamo alla meglio il sedile dai vetri e saliamo in macchina. Alex mette in moto: sì, era proprio la benzina che mancava, e altro mal non venga.
Ci fermiamo a fare il pieno dallo stesso benzinaio gentile, che chiude il vuoto lasciato dal finestrino rotto con un sacco nero dell’immondizia.
Si riparte, ma, come ci aspettavamo, dopo qualche chilometro il sacco tende a staccarsi (oltre a fare un rumore infernale). Via il sacco, quindi. E così,  avvolta dalla testa ai piedi in una coperta recuperata dal bagagliaio, mentre l’aria gelida si abbatte sulle spalle di Alex , proseguiamo verso casa. Per consolarci ci diciamo che poteva andar peggio:
Potevano rubare la macchina, dico io.
Pensa se stesse piovendo… dice Alex.
Meno male che il portafogli, con soldi e documenti, e il cellulare li avevo con me, dico io.
E se, come ti avevo consigliato, tu fossi rimasta in macchina ad aspettarmi, magari ti minacciavano, dice Alex.

Già, poteva andare davvero peggio, penso io, mentre i cartelli  dell’autostrada indicano l’uscita per Bologna.

 
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6 risposte a Il ritorno

  1. Piera ha detto:

    Milvia, ho letto ieri la prima parte della vostra avventura e stavo per chiamarti…
    Sono molto dispiaciuta per tutto quello che vi è successo, davvero una giornata così bella non doveva concludersi in quel modo! Però devo dire che con molta saggezza avete cercato di ridimensionare tutto pensando che poteva capitare di peggio. Nessuno comunque potrà portarti via la bella giornata trascorsa fino a quel momento, anche se dispiace enormemente quando veniamo derubati delle nostre cose, quelle che per noi hanno un immenso valore affettivo. Ti racconterò, in seguito, qualcosa che si avvicina molto a questa tua brutta esperienza.
    Guarda avanti, però, e…un lungo e felice cammino al tuo libro! Ciao!
    Piera

    • milvia ha detto:

      Carissima Piera, è vero: i momenti belli nessun ladro potrà mai portarli via. E, per fortuna, il mio carattere è più propenso a dimenticare gli episodi sgradevoli e tenere stretti quelli gioiosi. Grazie delle tue belle parole. Poi, quando ne avremo occasione, mi racconterai la tua disavventura.
      Un abbraccio

  2. Franz ha detto:

    Anch’io ero indeciso se chiamarti, dopo la lettura del post precedente, poi quelle tue parole finali, e il fatto stesso che hai trovato la calma per pubblicare il post medesimo, mi hanno tranquillizzato.
    Ora che leggo il seguito, mi rendo conto di quanto brutta sia stata la tua disavventura, direi soprattutto per la perdita di oggetti importanti e cari.
    Che dire, sulla scia del vostro giusto pensiero positivo: speriamo che i ladri apprezzino i tuoi racconti e diventino tuoi fan…

    Ciao, a presto!

    • milvia ha detto:

      Franz, amico caro, avevo infatti concluso appositamente il mio post con parole rassicuranti, per tranquillizzare gli amici.
      Che i ladri diventino miei fan… è un’ipotesi che mi ha fatto sorridere.
      Ciao!

  3. lucarinaldoni ha detto:

    Il pensiero, a differenza della parola, può procedere in parallelo e non è obbligato a sacrificarsi in irreversibili sequenze lineari: può volare alto quando vuole assaporare un quadro d’insieme a volte ineffabile, per tornare a volare rasoterra come un pilota americano un po’ sbruffone quando deve partorire soluzioni usa-e-getta (che a volte servono).

    Che c’entra, dirà qualcuno? Cerchiamo di spiegarlo, facendo il difficile salto fra il pensiero che ha assaporato una strana e pittoresca convergenza e la parola che deve cercare di tradurla dal quadro sinottico del pensiero ad una qualche sequenza logica.

    Tu scrivi un post entusiasta ed emozionato su Mino Milani/ si attiva un’associazione quasi automatica ed irresistibile e io, dopo essermi rinfrescato la memoria su un nome che sì, a sentirlo mi diceva qualcosa, ma non mi ricordavo cosa (quando non c’erano Google e Wikipedia, la trafila sarebbe stata, sembra assurdo ma non lo è, un giro di telefonate agli amici del tenore “Di’ veh, te te lo ricordi chi è che era il Mino Milani?” e quasi tutti lo avrebbero confuso con Don Milani o col geniale comico Maurizio Milani da Codogno) scrivo un post sul Corriere dei Piccoli (sul nel senso di “a proposito di”, anche perché il Corrierino non esce più da una quindicina d’anni )/ tu dai una scorsa al mio post e me ne citi uno tuo del 2008 che festeggiava i cent’anni della testata/ io lo leggo e resto colpito dalla tua bella e struggente associazione tra l’uscita del primo numero del giornalino e il terremoto di Messina (che a memoria mia e credo d’uomo è stato il più bestiale e feroce che l’Europa ricordi, con un’incidenza di vittime da pestilenza medievale/ e io penso “Guarda te come la gioia e il dolore si possono susseguire senza pudore e senza soluzione di continuità”.

    Ora, nel tuo caso, sono sicuro che il saldo fra gioia e dolore resta largamente attivo, anzi se esistesse un Dio severo ma equo potremmo perfino pensare che abbia voluto calmierare una tua estasi che non è attingibile se non nelle gioie del Paradiso (ma Eufemio non sarebbe d’accordo), mentre per il bambino messinese che si era addormentato sulle avventure del signor Bonaventura, la mattina dopo il saldo fu sicuramente del tutto ed irreparabilmente deficitario.

    Resta la metafisica verità del “piacer figlio d’affanno” incarnata nell’enigmatica diade yin – yang.

    La vita di una scrittrice deve per forza assomigliare a un romanzo. La mia, per esempio, assomiglia al massimo a un trafiletto di cronaca.

    Ma se il pensiero deve ancora sbizzarrirsi, chissà che il tuo ladruncolo non fosse qualche disperato che hai incontrato a suo tempo in stazione e, in fase di quiescenza, ti era sembrato anche fragile indifeso e simpatico, e magari quando se lo può permettere lo è davvero.

    Un abbraccio.

    • milvia ha detto:

      Ma guarda un po’! Scorrendo dei miei vecchi post, mi accorgo che, inspiegabilmente, non ho risposto a questo tuo corposo e bellissimo commento. Non è da me, rispondo sempre ai commenti, e non riesco proprio a capire come possa essere successo. Mi perdoni, vero, anche se sono incolpevole?
      Dai tuoi post si potrebbero trarre saggi e, caso forse unico nel mondo blogghesco, anche dai commenti che lasci da me, da Franz, giusto per fare due esempi, si potrebbero trarre saggi. E la tua vita interiore è tutt’altro che un trafiletto di cronaca. È un’enciclopedia, ma di quelle belle e piene di notizie e spunti interessanti, mica quella dei Fratelli Fabbri…
      Ciao, amico caro. E se capitasse ancora che non rispondo a un tuo commento, fammelo sapere. Mi tirerò le orecchie da sola.

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