Ma poi ho riflettuto e mi son detta: no!

In molti post, fra i 1197 che ho pubblicato in questi anni, mi sono occupata delle nefandezze dei politici, in particolare dell’innominabile figuro e dei suoi seguaci. Da un po’ di tempo sto, invece, pubblicando altro: casualmente, o per stanchezza, forse.
Nelle ultime settimane ho pensato più volte di riprendere questa mia consuetudine. Il materiale non manca: il ritorno dell’innominabile figuro, il “si candida o non si candida”, che riguarda il figurante delle banche, certe disorientanti  (e da me sofferte) espulsioni ecc.ecc. Ce n’è per tutti i gusti, o, ancor meglio, per tutti i cattivi gusti.
Ma poi ho riflettuto. E mi son detta: no.
Non meritano, essi, i politici, il mio tempo, né il tempo dei miei lettori. A  una politica così, con quella faccia un po’ così (e qui immaginatevi un particolare  anatomico ben preciso) non voglio dedicare neanche una parola, nel mio blog.  Non è indifferenza alla catastrofe, la mia. Tu chiamala, se vuoi, sopravvivenza.
Tanto, le mie invettive, non sposterebbero di una virgola l’atteggiamento di figuri e figuranti, per non parlar dei nani.
Non farò più da megafono alle loro fregnacce, ai loro canti stonati, ai loro “mi hanno equivocato”, alla loro ignoranza, alla loro ingordigia.  Basta, davvero.
Con questo non voglio dire che smetterò di guardarmi intorno, o che smetterò di partecipare a manifestazioni,  e di segnalarle,  o che non scriverò più di ingiustizie o vessazioni. Infilare la testa nella sabbia non è mai stato fra i miei sport preferiti e gli occhi continuerò a tenerli ben aperti. Solamente non parlerò di loro, né dei loro ritorni, né delle loro eventuali partenze. Salvo che succeda chissà quale evento clamoroso. Ma cosa volete che succeda mai? Niente di nuovo, io credo. Che, quelli, vincono anche la morte (la loro, naturalmente).

L’immagine iniziale vuole essere un invito a ricercare la bellezza. Che ce n’è di bellezza, ancora. Anche nel nostro quotidiano, può esistere.
Il testo in corsivo è la dimostrazione che, purtroppo, certe situazioni sono sempre attuali.
Il link che appare subito dopo al testo, porta a un articolo oggettivamente attuale, nel senso che è stato scritto oggi, credo.
E la canzone conclusiva è un altro invito: a non smettere di sognare (e di sperare)

Piero Calamandrei –
(discorso pronunciato al III Congresso in difesa della Scuola nazionale a Roma l’11 febbraio 1950)


Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro limiti e deve riuscire a far meglio di loro. La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia, perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito.

Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimè. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma per questo sono anche scuole di partito. Ma c’è un’altra forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime… Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A “quelle” scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d’occhio i cuochi di questa bassa cucina. L’operazione si fa in tre modi: ve l’ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico”

Piccola lezione di economia

Imagine

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4 risposte a Ma poi ho riflettuto e mi son detta: no!

  1. lucarinaldoni ha detto:

    Rispetto e parzialmente condivido il tuo punto di vista: nel senso che istintivamente provo un mortifero logorio che mi porta a sposare buona parte delle tue argomentazioni; senonché il Super-Io, il custode spietato dei nostri doveri etici, continua a gridarmi che in questi momenti così grigi ed oscuri il cittadino comune (che però oggi possiede uno strumento delicato e impegnativo come questa Rete che ci include e ci modifica in qualche modo la vita, che il cittadino comune del secolo scorso non aveva ancora, se non negli ultimissimi anni) ha il dovere prima ancora che il diritto di dire la sua, di raccogliere e divulgare informazioni e idee, magari di ricordare e far ricordare un intellettuale come Piero Calamandrei della cui stirpe sembra si sia perso lo stampino, insomma di fare politica “di base” che non significa iscriversi a un partito (e forse neppure alle 5 Stelle, se non escono dal pesante impasse in cui sono precipitate) ma “fare qualcosa per lo Stato senza aspettare che lo Stato faccia qualcosa per te” (secondo la fortunata massima di John Fitzgerald Kennedy).

    E’ che lo Stato è talmente in cattivo stato che il cittadino (a me questa parola un po’ ottocentesca piace e la uso per contrapporla ai concetti più “moderni” di elettore, suddito, “consumatore”, produttore, risparmiatore, preso per il culo ecc. ecc. ecc.) fatica a sentirsene parte. Lo Stato siamo noi, la storia siamo noi (nessuno si senta escluso).

    E comunque, in questo post in cui non volevi parlare di politica ne hai parlato in modo lucido e brillante. E allora, mi viene da dire, continua a “non parlarne” in questa squisita maniera e non ti sentirai esclusa.

  2. Milvia ha detto:

    Caro Luca, infatti è di politica, che continuerò a parlare, ma senza riportare le parole dei politici, ma scrivendo di fatti, o pubblicando testi di “illuminati”, come ho fatto in questo post.
    Scusa se sono così breve, nella mia risposta, ma oggi è una giornata di brevi parole, di respiri corti, di silenzi.
    Grazie, però, te lo dico. E ti invio anche un abbraccio.

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