Mo viene Natale

Il mio albero di Natale 2012

Il mio albero di Natale 2012

In una vecchia canzone Renato Carosone cantava:
Mo vene Natale,
nun tengo denare
me leggo il giornale
e me vado a cuccà.

E andava avanti così,  ripetendo la stessa strofa in maniera ossessiva. Per poi intercalare con:
Mamma mamma
e damme ‘na mano
che doppo dimane
fernesce a semmane
e nun saccio che fa.

Sarà stato il ’56, credo, ma a cinquantadue anni di distanza mi pare proprio che questa canzoncina possa essere ancora più attuale di allora.  Anzi mi vien da dire che stiamo vivendo una situazione ancora peggiore.  Non  solo non ci  sono denari,  ma le mamme  non  riescono a dare una mano ai figli, perché o hanno perso il lavoro, o, se pensionate, hanno una pensione irrisoria  e, se avevano dei risparmi, li hanno ormai esauriti.  E anche leggere il giornale, che nel testo della canzone sembra quasi un atto consolatorio  prima di andare a dormire, è oggi un atto che ci getta ancor più nello sconforto.

Già… L’e tutto sbagliato, l’è tutto da rifare, diceva quel toscanaccio di Bartali. Chissà cosa direbbe se vedesse come  ci siamo ridotti ora?
Quindi, dicevo, mo viene Natale. Le luminarie, più o meno festose, adornano le città.  Io, con le luci di Natale, ho un rapporto ambivalente  (anni fa ci avevo scritto anche una bruttissima poesia che non vi sottopongo, per non tediarvi): la bambina che ancora resiste strenuamente in me, come una cozza attaccata al suo scoglio,  ne percepisce l’incanto; ma l’adulta che io in realtà sono ne percepisce con pari intensità il disincanto. Quei festoni luminescenti mi sembrano specchietti per le allodole, mi sembrano dire: è Natale, è Natale, affrettati a comprare.  C’è infatti  un altro aspetto che mi fa ritenere più difficili i tempi che stiamo vivendo, rispetto agli anni in cui Carosone cantava la sua filastrocca natalizia. Negli ultimi decenni, e in particolar modo, nel passato ventennio, siamo  stati infettati da un virus che è stato  assolutamente deleterio per le nostre vite, per il nostro naturale ben-essere. Il virus ha un nome, non si identifica in una sigla, ma in un sostantivo. Il suo nome è consumismo, e ha la peculiarità di diventare più attivo a mano a mano che il Natale si avvicina. Ecco, negli anni cinquanta, almeno qui in Italia, questo virus era diffuso in minima parte. Ora, invece,  corriamo tutti il rischio di essere contagiati.
Avere scarsità di denaro crea quindi ancora più sofferenza, perché ci hanno  abituati a  non fare più distinzioni fra il superfluo e l’essenziale, e riteniamo essenziale, per esempio,  possedere o regalare ai nostri figli l’ultimo prodotto tecnologico. E se non ce lo possiamo permettere, ecco che soffriamo e per non soffrire rinunciamo magari all’essenziale per soddisfare il nostro effimero desiderio.
Certo, la mia è una visione di superficie, che mi viene dall’osservare la gente che fa acquisti, dall’ascoltare i discorsi delle persone sui mezzi pubblici. Poi lo so che c’è anche un’altra realtà, sempre più affollata da donne e uomini che rinunciano a tutto, perché, soldi… manco dieci euro.  I responsabili di questa situazione li conosciamo bene, i loro nomi sono… non importa, li chiamerò sciacalli. Sciacalli che, come i criminali più efferati, si apprestano a tornare sul luogo del delitto.

Rileggo quanto ho scritto finora, e mi vien voglia di cancellare tutto. Non è un post natalizio, questo. Ero partita con una canzonetta, poi avrei voluto scrivere giusto due righe e concludere con gli auguri e qualche adeguata musichetta. Invece mi sono impantanata in un discorso che mi porterebbe ancora più lontano. Insomma, ho fatto il mio solito casino, e quasi quasi mi sto pur dimenticando degli auguri.

Oggi dovrebbe essere il giorno in cui il mondo finisce. Per ora astri e pianeti stanno facendo il loro solito lavoro. Ma secondo me è già un pezzo che il mondo è finito. Però abbiamo  una possibilità: farlo rinascere,  amandoci gli uni con gli altri, rispettandoci gli uni con gli altri, rispettando la Madre Terra e non sfregiando la bellezza della natura,  ricominciando a capire la differenza fra essenziale e superfluo,  operando con tutte le nostre forze perché non ci siano più ultimi, ma solo uguali. D’altra parte mi sembra che fossero questi gli intenti del Bambino di cui fra pochi giorni noi, credenti e non credenti, festeggeremo la nascita.

E allora, cari amici,

Buon Natale,

buon ri-inizio, buona natività, nell’accezione più ampia possibile! Perché “War is over,
If you want it
War is over.
Now…
Ora , sì.
Mo vene Natale

Thank God It’s Christmas

Happy Christmas (war is over)

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6 risposte a Mo viene Natale

  1. maria ha detto:

    Amica mia grazie per gli auguri ed altrettanti a te :-), il mondo non è finito ma finirà e se non finirà lui per primo finiremo noi genere umano che siamo tanto distruttivi, stupidi ed arroganti che non riusciamo a capire che stiamo ditruggendo noi stessi e le nostre possibilità di vivere….ma va buò ancora ci siamo e cerchiamo di vivere al meglio e di far vivere meglio gli altri per quanto ci è possibile
    Buon Natale!!!!
    maria

  2. Piera ha detto:

    Milvia cara, sei brava anche nell’amarezza e nel disincanto. Cancellare quello che hai già scritto? Scherzi? Non una virgola, è tutto così vero! Concordo sull’abitudine al superfluo, sul ritorno degli sciacalli, sul fatto che forse questa crisi è peggiore di quelle degli anni ormai passati. Credo che lo sia perché, a differenza di allora, non siamo più abituati ad una certa disciplina, anche a rinunciare a qualcosa, ad impegnarci per conseguire dei risultati. Spesso siamo abituati al tutto e subito.
    Però ha ragione Maria quando dice che comunque ci siamo e dobbiamo cercare di vivere nel miglior modo possibile, senza dimenticare che ci sono anche gli altri.
    Buon Natale, dunque, cara amica, nei prossimi giorni regalerò, con molto piacere, il tuo bel libro.
    Buon Natale anche a Maria, che non conosco, ma di cui ho sentito parlare diverse volte da te con grande affetto.
    Ciao!
    Piera

  3. Milvia ha detto:

    Care amiche: grazie per… esserci! Vi voglio bene e vi sento vicine al mio sentire.
    Ormai il Natale se n’è andato (ed è stato un bel Natale, devo dire) e non mi resta che augurarvi un 2013 ricco di belle, gradire sorprese.
    Vi abbraccio.

  4. lucarinaldoni ha detto:

    Inutile fare gli ipocriti. Il Natale senza il becco di un quattrino mette abbastanza tristezza. Con una robusta tredicesima, o gli incassi irrobustiti di un bravo commerciante, mette un po’ meno malinconia. Chi era quell’arguto figuro che disse “Se il denaro non fa la felicità, figuriamoci la miseria….”? Neppure YahooAnswers riesce a dirimere la questione, c’è chi cita Woody Allen ma secondo me era Totò. Wikipedia lo classifica come “detto popolare” e come tale lo prendiamo.

    Le stucchevolezze del Natale sono più facili da sopportare con un rassicurante conto in banca: niente di speciale, solo poter fare le spese necessarie e gradevoli senza arrivare a fine mese in apnea.

    In caso contrario preghi che finisca in fretta.

    E non chiedermi come lo so…. 😉

    • milvia ha detto:

      Certamente, Luca! Se non si ha il becco di un quattrino (chissà da dove proviene questa espressione?) il Natale può essere un giorno ancora più duro degli altri, da vivere. Forse nelle “stucchevolezze” del Natale, come tu le chiami, ci cado anch’io. Ma non le considero stucchevolezze, così come le vivo. Stucchevolezze e ipocrisie, sono rappresentate dalla frenesia,a tutti i costi (sia monetari, che di stess) per acquistare regali inutili, magari per obbligo. Mi piace fare regalini, avere intorno a me i miei affetti, e anche fare l’albero. Ritorno bambina, e, per quanto “ritornare bambina” possa apparire uno di quei luoghi comuni che affollano discorsi, scritture, letture, è questp che mi accade: ritorno bambina.
      Ciao, Luca!

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