Prima parte: il bar Otello
C’era una volta un bar, nella mia città. Il bar Otello, in via Orefici, al n.15. Per tanti decenni, davanti al bar Otello si sono riuniti i tifosi del Bologna, sotto la bandiera rosso e blu che il proprietario aveva posto sopra l’entrata (mi par di ricordare). Dentro e fuori dal locale, discussioni appassionate che si dipanavano dalla sera della domenica al mattino della domenica successiva, con il solo intervallo delle notti, fra un caffè e un bicchiere di spuma, una birra e un cognachino.
C’era una volta un bar, che tutti i bolognesi conoscevano, e che era visto con simpatia e affetto anche da chi il calcio non lo amava particolarmente, forse anche da tifosi di altre squadre, perché, quel bar, era comunque uno dei simboli della città.
Un anno, esattamente nel 1945, il bar Otello fu perfino sede del Bologna Football Club.
Ma tutto cambia: è cambiata la città, è cambiato il gioco del calcio, sono cambiati i tifosi. Non esiste neppure più la spuma. Ed è cambiato il bar Otello, o meglio, il bar Otello non esiste proprio più.
Un processo di cambiamento iniziato pochi anni fa, con lo spostamento della sede di pochi metri e il cambio del nome (Bar Incontri), e l’apertura, nei locali storici, di un locale chiamato sì, Otello, ma che niente aveva a che fare lo storico bar: una grande, gelida tabaccheria, e, sul fondo, qualche slot machine, qualche video-poker. Ma il processo di cambiamento non si era ancora concluso.
Da poco tempo, infatti, chi si trova a passare da via Orefici, ecco cosa vede, soffermandosi davanti al n.15: due vetrine satinate, che non permettono di vedere all’interno, un cartello con su scritto Vietato l’ingresso ai minori, e una nuova insegna: Bet Otello. E le colorite discussioni sugli errori degli arbitri, le appassionate aringhe per stabilire chi sia il calciatore migliore della squadra cittadina, restano solo un ricordo che i bolognesi non più giovanissimi si porteranno dentro.
Il mitico bar Otello ha subito una ben triste metamorfosi: tolte dalle pareti le foto autografate dei giocatori, quelle delle varie formazioni della squadra fonte di gioie e di dolori per i miei concittadini, è diventato uno dei posti più squallidi che esistano: una sala giochi, una trappola per illusi che ogni giorno nutrono con disperazione e ossessione slot-machine e video-poker.
Sul marciapiede antistante al locale non si parlerà più di vittorie e di classifiche. Uscendo dal locale qualcuno si fermerà un attimo, infilerà le mani nelle tasche vuote, e in solitudine e in silenzio si avvierà verso casa.
Riprenderò l’argomento nel prossimo post: da dire c’è davvero tanto.
Voglio terminare con una canzone ironica e leggera: questa, che, comunque, di gioco parla
sai Milvia, ho provato lo stesso sentimento di tristezza e angoscia
mio padre tanti anni fa, si fermava talvolta davanti al bar insieme ad altri anziani e passando si sentiva parlare di calcio magari in dialetto….
Credo che non ci sia bolognese in età matura che non abbia un ricordo legato al bar Otello. Purtroppo non è il solo tradizionale punto di incontro che è scomparso, nella nostra città, ma la trasformazione subita da questo locale è senza dubbio la più squallida.
Io sono quello delle citazioni, e mi viene in mente una bella canzone di Cat Stevens.
Bene, penso sia una bella cosa costruire grandi aeroplani
o fare un giro su di un treno cosmico
Accendere l’estate da una slot machine
ottenere quello che vuoi se lo vuoi, perché tu puoi avere tutto.
Lo so che abbiamo percorso una lunga strada
stiamo cambiando giorno dopo giorno
ma ditemi, dove andranno a giocare i bambini?
A Parma, come probabilmente sai, un’associazione a delinquere travestita da giunta comunale ha letteralmente violentato uno dei posti più unici di tutta la città, Piazza Ghiaia, antico mercato popolare (sarebbe come se a Roma trasformassero Porta Portese o Campo de’ Fiori in una piazzetta da paesone della Versilia).
Nel caso di Otello mi sembra di capire che non c’entra il Comune ma c’entra il mercato, l’economia, il tornaconto vilmente monetario.
La dipendenza da gioco d’azzardo è la più bastarda e perversa: alcool e droghe almeno danno un qualche tipo di piacere (almeno nella fase della “luna di miele”), il “gioco” (che denominazione ipocrita e infedele!) fa stare solamente male e non ha nulla di divertente.
La maggior parte di quelli che giocano, quando vincono, compulsivamente reimmettono la somma nella slot machine e non se ne vanno finché non hanno perso. Qualunque alcolista o eroinomane ha un maggior senso del limite.
Quindi la rabbia è doppia: sarebbe meno cocente se quello che si perde in memoria e tradizione fosse sostituito da qualcosa di meno pittoresco e romantico ma, come dire, di un qualche tipo e misura di utilità sociale. Ma una sala “giochi”??
Buon vichènd.
Devo confessare una cosa: a me giocare piace (non con quelle macchinette, però, se si escludono gli incontri adolescenziali con i flipper). Mi piace giocare a carte, e per anni mio marito e io abbiamo trascorso i dopo cena del sabato sera dilettandoci, noi e una coppia di amici, con lunghe partire a poker e di pinnacolo. Ma la posta era veramente irrisoria, al massimo, quello che si perdeva erano diecimila lire, o, più recentemente, una decina di euro. Sì, i giochi mi divertono: se potessi sarei pronta a giocare a nascondino (o a “cucco”, come dicevamo noi da bambini), o a strega in alto, o a uno due tre per le vie di Roma. E non è tanto l’idea della competizione, che me li fa amare, ma solo il puro divertimento. Vincere non è poi così importante, per me. Banalizzando, mi vien da dire che “l’importante è partecipare”.
Nonostante questo, ritengo i casinò (che mi è capitato due o tre volte di frequentare, e ne parlerò nel prossimo post), le sale Bingo (un’esperienza in Svizzera veramente sgradevole) e le sale di slot (mai frequentate), luoghi tristissimi.
Giudico molto valida la tua analisi del fenomeno. Ancora una volta, e oggi più che mai, il “mercato”, “il tornaconto vilmente monetario” la fanno da padroni sulle fasce più fragili della popolazione.
Bellissima la canzone di Cat Steven: stranamente è annoveata, nella mia agenda di ricordi, nello stesso periodo di quella dei Beatles che hai pubblicato nel tuo ultimo post: 1987…
Buona domenica, caro Luca! Spero lo sia anche per me: alle 18 presento il mio libro a Imola.
Un abbraccio.
E’ un pezzo a suo modo glorioso di passato che muore per una brutta malattia, una stella fissa che si spegne per sempre, la spaventosa trasformazione che tu hai descritto, dedicandole il giusto risalto. E accludendo quella nitida foto in bianco e nero così evocativa.
Di quella stella ormai spenta mi piace rievocare un piccolo raggio che colpì la mia vita di bambino di quinta elementare: con mio padre e mio fratello affrontammo la trasferta Fiorentina-Bologna su un pullman organizzato proprio dal Bar Otello; era il Bologna che giocava con lo scudetto sulla maglia, conquistato nella stagione precedente, ma perse due a uno. Poco male: i ricordi di quella giornata sono in me ancora vivi e preziosi.
Come ho scritto nella risposta a Margaret non è il solo simbolo di Bologna che è stato distrutto in questi anni. Ricordo, per esempio, la libreria Parolini, al Palazzo del Toro, dove andavo, con mia mamma, ad acquistare i libri per le elementari e le medie, ora sostituita da un negozio di abbigliamento.
Mi piace tanto quando ci regali episodi della tua infanzia (lo sai…), anche perché in poche righe riesci a trasmettere le emozioni e la dolcezza di quei ricordi. La passione per la squadra rossoblu è forse l’unica cosa che mi ha legato a mio padre, quando ero bambina. Una volta mi portò perfino allo stadio, qui a Bologna, però. E forse ero l’unica bambina presente. Quando passavamo dal centro, ogni tanto ci fermavamo davanti al Bar Otello. C’era una bella atmosfera, ricordo.
Buona domenica e un abbraccio, Franz!
Permettetemi, pur non essendo bolognese, di partecipare dal Salento alla vostra tristezza per la sparizione di uno dei luoghi simbolo della vostra bella città, che si inserisce in un fenomeno purtroppo comune a tanti centri della nostra disastrata Italia. Ho sempre amato e ammirato Bologna, pur non avendoci mai vissuto e malgrado ne conoscessi bene solo la Stazione Centrale (nella quale transitavo una volta l’anno durante le feste natalizie sul treno Milano-Lecce). A questo proposito penso di poter riferire anch’io una piccola perdita nella mia memoria bolognese, ossia quando sparì la suggestiva scritta luminosa collocata a ridosso della sede ferroviaria sul tronco in direzione adriatica “Vecchia Romagna augura buon viaggio”, che aspettavo di rivedere ogni volta, malgrado il convoglio vi transitasse vicino praticamente a notte fonda. Per quello che riguarda il Bologna calcio, da buon milanista non posso dimenticare i numerosi dispiaceri che i giocatori rossoblu hanno spesso rifilato ai rossoneri, facendogli anche perdere degli scudetti. Ma non si poteva non ammirare giocatori come Bulgarelli, Pascutti, Fogli (poi anche milanista), Haller, Savoldi, e anche il portiere in seconda Sergio Buso, che quasi mi commuoveva per il dispiacere che esprimeva quando prendeva un goal. Ma Bologna rimane e rimarrà sempre una cara e bella città, che mi piace ammirare anche quando percorro il tratto autostradale adiacente alla sua tangenziale, stando attento a non distrarmi troppo dalla guida. Quindi, amici Bolognesi, avete perso lo storico Bar Otello, ma avete ancora tanti altri tesori di arte, di storia, di cultura, di civiltà e di socialità che nessuno potrà mai togliervi. Spero di tornare presto nella vostra città (l’ultima volta, sei anni fa, ho dovuto accompagnare le mie figlie e una mia nipote modenese sulla cima della stupenda Torre degli Asinelli, e il panorama che si gode di là non potrà certo essere imbrattato dalle degenerazioni della società di oggi, videopoker compresi). Un saluto alla cara Milvia e a tutti voi. Giorgio ’62
Ciao, Giorgio!
Prima di tutto, e non certo per ricambiare le belle cose che hai scritto sulla mia città, devo dirti che un po’ ti invidio, perché vivi in uno dei posti più belli d’Italia. Sono stata anni fa in Salento, e la tua terra mi ha veramente incantato.
Quel treno Lecce-Milano nella tratta Bologna-Milano (e ritorno) durante le feste di Natale credo molto precedenti alle tue lo prendevo anch’io: era la Freccia del Levante, vero?
Non so quando è sparita la grande insegna della Vecchia Romagna, perché dal ’72 al 2006 sono stata lontana dalla mia città.
Mi sono quasi commossa al tuo ricordo dei giocatori del Bologna: quando morì Giacomino Bulgarelli scrissi un post, anche se da decenni non seguo più il calcio, da ragazzina ero un’appassionata tifosa della squadra rosso-blu. Se lo vuoi leggere ecco il link al post. https://rossiorizzontidue.wordpress.com/2009/02/15/giacomino-bulgarelli-come-lui-nessuno-mai-2/
La prossima volta che passi da Bologna, magari per salire una seconda volta con tua figlia e tua nipote in cima agli Asinelli, dimmelo! Così vi potrò fare compagnia, visto che io, lassù, non ci sono mai salita.
Un caro e affettuoso saluto a te, Giorgio e grazie del bel commento.
Cara Milvia, mi fa piacere che abbiamo avuto in comune un’esperienza ferroviaria. Il treno in questione era proprio l’Espresso del Levante, che partiva da Milano Centrale alle 21.08 e doveva arrivare a Lecce alle 9.27, dopo una intera notte lungo la costa adriatica. Dico doveva, perchè per molti anni (io lo prendeva quasi solo in occasione delle festività natalizie) accumulava colossali ritardi, sia alla partenza che all’arrivo a causa sia dell’intenso traffico di convogli sia dell’insufficienza della linea (il raddoppio è stato completato solo nel 2006). Nel Natale 1979 arrivammo a Lecce addirittura con 13 ore di ritardo (record imbattuto e imbattibile). Per fortuna negli ultimi anni la situazione è migliorata, ma io ormai ho avuto poche occasioni di ritrovarmi su un convoglio che ha segnato comunque bei momenti nella mia infanzia e adolescenza (per non parlare delle numerose occasioni in cui ho dovuto fare l’intero viaggio in piedi, cose d’altri tempi). Da quando vivo a Lecce mi mancano un po’ quei viaggi odissea, e per me è sempre un piacere ritornare ogni tanto a transitare da Bologna Centrale (anche se questo luogo per me mitico è stato sfregiato crudelmente il 2 agosto 1980 da alcune bestie con sembianze umane). Mi farebbe piacere incontrarti nella mia città, dove spero avrai occasioni di ritornare presto, e anche eventualmente a Bologna, magari proprio sulla Torre degli Asinelli (io ci sono salito due volte, a distanza di quasi trent’anni l’una dall’altra) dove potresti vedere sicuramente un aspetto che renderebbe la tua citta ancora più amabile. La salita è in effetti non breve, ma quando si arriva in cima il fiatone scompare per lasciare posto a sensazioni molto più piacevoli. Ma anche i portici di Corso Indipendenza sono unici al mondo, per non parlare di Piazza Maggiore e San Petronio. Scusami se mi dilungo sulla ferrovia bolognese, ma mi piacerebbe vedere anche la stazione secondaria di S. Donato, dove nel 1965 furono girate alcune sequenze del film d’avventura bellica Von Ryan’s Express (Il Colonnello Von Ryan), con Frank Sinatra e Raffaella Carrà, una pellicola che mi fa sempre piacere rivedere, anche se con un triste finale. Ho letto il tuo pezzo su Giacomo Bulgarelli e l’ho trovato molto poetico e rispondente alla nobile personalità del protagonista, un campione spesso sfortunato, come avvenne anche nella disgraziata partita contro la Corea nel 1966. Il grande Gianni Brera non aveva molto azzeccato la sua pur non offensiva definizione di abatino. Perdona se ti ho intrattenuto con argomenti un po’ frivoli (a parte ovviamente Bulgarelli), ma, come insegni a tutti noi che seguiamo le tue acute e poliedriche riflessioni la vita e la cultura sono anche tutto ciò che comunque riempie l’esistenza dei poveri mortali. Grazie e a risentirci presto. Giorgio ’62
Ciao, caro Giorgio!
Credo che l’esperienza di un viaggio di 12 ore che durante il tragitto
accumula 13 ore di ritardo, sia stata a dir poco allucinante! Ma vedo che i tuoi ricordi dell’Espresso (o la Tartaruga?) del Levante sono comunque positivi, e mi fa piacere, perché amo viaggiare in treno, che, dopo la barca a vela, è il mezzo di trasporto che preferisco.
Lecce: che splendida città! Della sua bellezza me ne avevano parlato alcuni amici, ma non mi aspettavo davvero che fosse così meravigliosa. Purtroppo non mi sono fermata a lungo, e non posso dire di conoscerla bene, ma quel po’ che ho visto mi ha invantata, e sono rimasta anche colpita positivamente dalla gentilezza degli abitanti.
Grazie, a nome della mia città, degli apprezzamenti che le riservi. E grazie anche per avermi dato un’informazione di cui non ero al corrente: che alcune scene del Colonnello Von Ryan fossero state girate alla stazione di San Donato (allora la società ferroviaria che la gestiva si chiamava “La veneta”, società della quale mio nonno paterno era macchinista). E pensa che io abito proprio nel quartiere San Donato!
Non mi sembra che nessuna parte del tuo commento sia frivolo, anzi ne ho apprezzato ogni parola, e per ogni parola ti ringrazio.
E chissà che un giorno, nella mia città o nella tua, non capiterà di incontrarci.
Buon pomeriggio, caro Giorgio. E a presto.
La lettura del post ha lasciato anche in me un senso di tristezza, pur non avendo mai conosciuto il Bar Otello. Colpisce meno il fatto che un locale venga chiuso, dispiace ma possono essere tanti i motivi per farlo, vederlo invece trasformarsi così, perdendo la forza che aveva, costruzione di amicizie, conversazioni, magari anche accese, vitalità, penso anche ad un dialogo magari chiassoso ma positivo, il via vai continuo, insomma, tutto ciò che fa comunità, ecco, seguirne la sorte, che tu così bene hai evidenziato, suscita tristezza. Come immalinconisce la conclusione della tua riflessione, sembra proprio di vedere le persone entrare cercando chissà che cosa, e poi uscire sconsolate e con le tasche vuote.
Milvia, sai guardare intorno come pochi.
Un carissimo saluto.
Piera
Ciao, cara Piera!
Come puoi vedere dal post che ho pubblicato oggi, questo sulla trasformazione del Bar Otello voleva essere una sorta di preambolo per un discorso più ampio, che mi sgomenta: l’apertura di innumerevoli sale di slot machine e video poker: non c’è città in cui mi capita di passare che non ne ospiti, e poi tutti quei bar con quelle diaboliche macchinette. Non so, ma davvero, oggi, in Italia, ovunque si guardi ci sono problemi, storture, scempi. Eppure bisogna continuare a sperare. Non certo, però,dando da mangiare a una slot machine.
Ti abbraccio, Piera.