“Giornalisti giornalisti” e “giornalisti impiegati”

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Non è, questo, come forse qualcuno si aspetterebbe, un post…post-elezioni. Chi mi conosce bene, credo possa immaginare quali siano state le mie reazioni: se da un lato ho provato molta soddisfazione per un certo risultato, dall’altro, il perdurare del consenso verso un personaggio che mi ostino più che mai a non nominare, mi ha amareggiato, ma forse, poi, non mi ha poi tanto sorpresa, se ben ci penso. Per riflessioni più approfondite ed, eventualmente la loro pubblicazione,  attendo l’esito degli eventi, che oggi non sono davvero prevedibili. Se con assoluta mancanza di confusione ho segnato le mie due croci sulle schede elettorali, devo dire che oggi, come tutti, io credo, sono piuttosto confusa (ma non pentita, comunque).

Voglio parlare, invece, di giornalismo. Di quel giornalismo d’inchiesta che, in una sentenza del 9 luglio 2010, la Corte di Cassazione ha definito: l’espressione più alta e nobile dell’attività d’informazione.

L’idea mi è nata dopo aver visto, l’altra sera il film Fortapàsc, che racconta con rigore e realismo la storia del cronista del Mattino, Giancarlo Siani.

Mi sono chiesta (ma in effetti è un po’ che ci penso) se esiste ancora un vero giornalismo di inchiesta. O se, invece, le informazioni che vengono pubblicate, e che devono arrivare sempre più velocemente nelle nostre case, siano frutto di una ricerca fatta  stando comodamente seduti davanti a una scrivania a digitare tasti o a guardare lo schermo  del proprio  pc, in attesa che l’Ansa o altre agenzie pubblichino un flash. O in attesa che qualcuno, da una procura, invii  i testi di qualche intercettazione telefonica (che, comunque, dico che è legittimo pubblicare, giusto per non essere fraintesa). E che poi ci si limiti a scrivere l’ articolo dandogli un  taglio che non deve per nulla al mondo disturbare i padroni o padroncini cui le varie testate appartengono. Così  il vestito del giornalista non si sporca, perché non c’è la melma nelle redazioni dei giornali, non c’è la polvere delle strade, non c’è  il  rovente calore del sole che fa macchiare di sudore le camicie. E lui, il giornalista, con il suo vestito tutto pulitino e ben stirato, può passare direttamente, senza cambiarsi, dalla redazione del  giornale, a qualche salotto televisivo, dove potrà, ancora una volta, fare da megafono alla voce del padrone. Illudendosi, magari, di far del giornalismo di inchiesta, perché diligentemente, su un argomento, ha spulciato decine e decine di siti Internet. Azione che, se compiuta da un blogger…non professionista, è legittima, e forse anche lodevole, nella  sua ricerca di più informazioni possibili,  ma in un giornalista mi pare, a dir poco, assai superficiale.
Non è una certezza, la mia, è solo un dubbio, una domanda che mi faccio. E riguarda, comunque, quei professionisti della carta stampata che, come ho scritto prima,  pensano di fare giornalismo di inchiesta.  Ma fra il pensare e il fare…
Nel film Fortapàsc, c’è una frase che mi è rimasta impressa: la dice il caporedattore di Giancarlo Siani al giovane giornalista, ed è questa: Ci sono, nel giornalismo,  “giornalisti giornalisti” e “giornalisti impiegati”.
Ecco, il “giornalista giornalista”, quando vuol fare un vero giornalismo di inchiesta,  secondo me, i vestiti, le mani, le scarpe, se li deve sporcare. Deve anche puzzare di sudore, forse.  E deve rischiare, perché la ricerca della verità è sempre un rischio.
Mi viene in mente un nome, a questo punto: quello di Fabrizio Gatti, giornalista dell’Espresso, di cui, in questo blog, ho parlato più volte. E che il vestito se lo è addirittura cambiato, e non per non sporcarsi il suo, ma per diventare un uomo non distinguibile fra coloro che erano oggetto, o, meglio, soggetto, delle sue inchieste. E ha rischiato, ha rischiato davvero, come si può leggere qui e qui.

Forse ce ne sono tanti altri, come Fabrizio Gatti, e me lo auguro. Ma, per ora, e forse per mia ignoranza, l’impressione di un giornalismo sedentario, il cui unico rischio è quello di dissentire dalla voce del padrone, rimane.

Mah… chissà perché mi è venuta in mente questa canzone… Che, con  il post non c’entra affatto.
Que sera sera

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11 risposte a “Giornalisti giornalisti” e “giornalisti impiegati”

  1. lucarinaldoni ha detto:

    Volevo quasi fare un post della vicenda che sto per raccontarti, poi ho pensato che ne faccio già abbastanza e questo sarebbe stato uno di troppo. Ma ricordo, a non più di un metro da dove qualche giorno prima era seduto il Professor Galli con mezzo secolo di professione e una quantità infinita di storie, metafore, allegorie, supposizioni da raccontare, all’ultimo piano della nuova Feltrinelli di Via Farini, un giornalista della sede regionale di Repubblica (lo dico perché così si annunciava al cellulare, non perché lo avessi riconosciuto) stravaccato su un davanzale riattato a spazio di lettura con il cellulare in una mano e il notebook sulle ginocchia, che cercava stancamente di mettersi in contatto con Pizzarotti (secondo me senza riuscirci) lamentandosi che quando cercava Merola gli veniva passato immediatamente con tutti gli onori.

    Per carità, sto parlando di un giovanotto che mostrava una certa cortesia nelle conversazioni telefoniche e un ottimo possesso della lingua italiana. Ma, a parte chiedermi perché era venuto a Parma per ritirarsi nei confortevoli spazi della Feltrinelli (il cellulare e il notebook avrebbero funzionato egualmente bene anche nella metropoli petroniano-felsinea), in lui non vedevo l’empito dell’inchiesta, della denuncia, l’odore era quello di una raffinata acqua di colonia e non certo quello del sudore. L’impressione complessiva era quella di un messo comunale che doveva consegnare una citazione, anzi il paragone offende il messo comunale che forse fino in Piazza Garibaldi sede del Comune di Parma lemme lemme ci sarebbe arrivato.

    E sto parlando di Repubblica. Non di Libero, non del Giornale, non del Foglio.

    Buona vita.

    • Milvia ha detto:

      Probabilmente, caro Luca, lo stravaccato giornalista che hai notato alla Feltrinelli era uno di quei giovani precari cui accenna Franz nel suo commento, nonostante la costosa acqua di colonia, magari regalata dalla fidanzata 🙂
      Una colpa comunque ce l’ha: se considerasse se stesso un “vero” giornalista, invece di stare a gingillarsi con il cellulare, avrebbe ascoltato con attenzione il prof. Galli. Magari per proporre un articolo sull’esimio al proprio capo-redattore. Anche… a gratis. Ma la realtà è che oggi, alla massima parte dei giornalisti, pagati o sotto-pagati, manca quel fuoco alimentato dalla passione per il proprio mestiere.
      Buona vita a te.

      • lucarinaldoni ha detto:

        Probabilmente la tua diagnosi è corretta: e la tua ipotesi giustifica la somiglianza con un messo comunale, pagato altrettanto se non di più e che non corre alcun rischio di beccarsi querele su querele (per cui il giovane precario conscio che dovrebbe pagarsi l’avvocato di tasca sua non fa un giornalismo troppo intraprendente).

        Involontariamente, poi, mi rendo conto di aver toccato il delicato tema di come i vecchi partiti cavalchino la stampa e siano prodighi di dichiarazioni mentre i nipotini di Grillo fanno dannare gli organi d’informazione (comunicando quasi esclusivamente via web, e per quello Pizzarotti twitta che in confronto un usignolo in amore sembra muto).

        L’atteggiamento di rassegnata disperazione del Probabile Giornalista Precario muove a questo punto a un’umana pietà.

        Anche questo è un aspetto della rivoluzione copernicana che Grillo e Casaleggio (con la recente autorevole entusiastica benedizione di Dario Fo) stanno tentando nel linguaggio, negli stilemi, nelle strategie comunicative. Con buone prospettive di riuscirci, o almeno di non finire al rogo o quanto meno di dover abiurare le loro eretiche teorie.

  2. margaret collina ha detto:

    Ciao cara Milvia! mi aiuti a veicolare una idea che ho avuto e che sto testando qui sopra per verificare se poi è possibile trasportarla su un importante quotidiano?
    Si tratta di trovare brani o poesie di autori emiliano romagnoli di ogni epoca.
    Brevi citazioni e bei versi per ricordare i grandi letterati della nostra regione, antichi e moderni.
    Invito te e i tuoi lettori a dare un’occhiata, ma soprattutto a partecipare!!!
    Grazie e un abbraccio
    http://collanadiparole.wordpress.com/

    • Milvia ha detto:

      Fatto tutto, Margaret, e con piacere. Mi sarebbe piaciuto anche che, oltre a questa comunicazione, tu avessi espresso un parere sul contenuto del post.
      Ciao!

      • margaret collina ha detto:

        per il momento mi astengo…è solo un esperimento, e vorrei molti più contributi!

  3. Anonimo ha detto:

    Ancora una volta, cara Milvia, hai messo il dito in una piaga sanguinante della nostra società contemporanea: l’inaridimento delle attività umane ad opera della sempre più ingombrante e asfissiante presenza delle nuove tecnologie e del mondo virtuale. Anche nel giornalismo, gli strumenti rischiano di diventare essi stessi l’essenza della funzione informativa, snaturando e banalizzando il ruolo della stampa, che dovrebbe giustamente considerarsi uno dei baluardi della democrazia. Il problema, però, non è proprio recente, perchè già dalla fine degli anni settanta cominciava a porsi l’interrogativo se fosse preferibile un giornalismo di natura più artigianale e movimentista (come quello che tu giustamente rimpiangi) o un giornalismo più pronto a cogliere e intepretare, adattandovisi, l’evoluzione tecnologica della società, omologandosi a modelli di tipo impiegatizio (ricordo questa distinzione, all’incirca verso il 1977, da parte di un giornalista intervistato sulle prospettive della sua professione e della sua appetibilità per i giovani – ma questo discorso sembra fuori luogo, se consideriamo le gravi difficoltà in cui attualmente si dibattono tanti giornalisti nel trovare e mantenere un posto di lavoro). Ma la tematica che hai proposto è importante e attuale non solo sul piano politico, ma anche su quello prettamente culturale, perchè proprio dal giornalismo nel passato sono venute le voci più lucide e libere nell’ambito della critica letteraria, cinematografica, artistica e anche sportiva (e in questa ottica si inserisce perfettamente la richiesta della sig.ra Collina, che presuppone un ruolo attivo della stampa anche nel contribuire al recupero e alla salvaguardia di una prestigiosa letteratura locale). Per non dilungarmi troppo e per non avere problemi di stomaco, preferisco sorvolare sul giornalismo cortigiano che impazza su molta stampa e televisione attuali. Un caro saluto. Giorgio ’62

    • Milvia ha detto:

      Ma quanto sono belli i tuoi commenti, caro Giorgio!
      Io credo che tecnologia e… artigianato dovrebbero unirsi in matrimonio, aiutarsi a vicenda. Certe informazioni si possono prelevare sulla rete, ma devono poi essere verificate, approfondite, sviscerate sul campo. Ma per questa operazione che, ripeto, implica sporcarsi le mani, bisogna sentirsi liberi, avere un alto concetto di democrazia e non far parte di tifoserie cieche e passive.
      E, come ho scritto nel commento lasciato a Luca, bisogna avere il fuoco, dentro. Come lo avevano un tempo, e sono completamente d’accordo con te, certi grandi giornalisti del passato. Sono convinta ahe quei giornalisti si divertissero a fare il loro mestiere, un divertimento nobile, mi vien da dire. Oggi, ho l’impressione che molti si annoino. E annoino i loro lettori.
      Buona giornata, Giorgio!

  4. Franz ha detto:

    Il problema del giornalismo asservito al potere, così acuto nel nostro Paese, costituisce una delle più gravi ferite per il funzionamento di uno stato democratico.
    Aggiungo, alle tue giuste considerazioni, un fatto che completa il bruttissimo quadro: gran parte degli articoli dei nostri giornali sono scritti da giovani precari pagati una miseria. Che incentivo potranno mai avere questi a cercare la verità, e a porsi in conflitto con la linea editoriale della loro testata, vittima a sua volta dei più biechi traffici.
    Aria nuova, ci vuole, e presto! Almeno ora ne abbiamo finalmente (e sorprendentemente) qualche inattesa speranza.

    • Milvia ha detto:

      Conosco il problema del giornalismo precario tramite un amico. Certo che in questo modo non si incrementa né la passione, né la qualità, né la curiosità che dovrebbe portare alla ricerca della verità.
      Ogni giorno abbiamo esempi a non finire di giornalismo asservito al potere, e forse è giustificabile che qualcuno si rivolga alla stampa estera per rilasciare interviste…
      Aria nuova è auspicabile, perché qui le riserve di ossigeno si stanno veramente esaurendo. Speriamo di non andare in apnea…

  5. Milvia ha detto:

    Caro Luca, la vendita dei quotidiani è calata notevolmente, in questi ultimi anni, da quando la Rete è diventata, per moltissimi italiani, uno strumento di informazione polifonico. Me ne servo io stessa, e infatti non compro giornali, se non in caso di eventi straordinari di cui voglio conservare memoria. Uno strumento di comunicazione, Internet, veramente straordinario, se usato con accortezza.
    Nonostante questo, sarà forse perché non appartengo, per anno di nascita, alla cosiddetta generazione digitale, rimpiango il piacere che mi dava leggere sulla carta stampata, con quel suo odore particolare pieno di fascino, per me, un bell’articolo di un bravo giornalista, onesto e slegato da qualsiasi potere, seduta a un tavolino all’aperto di un bar, bevendo il secondo caffé della giornata.
    Buona settimana, Luca!

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