Dov’è la Festa?

In un articolo di Riccardo Ricciardini appena pubblicato sul sito Super Money News, trovo scritto che “in Italia, rispetto allo scorso anno, ci sono 248 mila posti di lavoro in meno. Sono dati diffusi dall’Istat, relativi alle rilevazioni riguardanti lo scorso mese di marzo.  Fra febbraio e marzo di quest’anno sono andati perduti ulteriori 51 mila posti di lavoro, con una diminuzione dello 0,2% su base mensile e dell’1,1% su base annua. Il tasso di disoccupazione complessiva a marzo è pari all’11,5%”.
Seguono altri dati molto preoccupanti, ma credo che già i numeri che ho pubblicato siano sufficienti per capire che Festa e Lavoro sono, oggi, un ossimoro.

Ma andiamo avanti.
Il primo maggio dello scorso anno mi divertii, no, non mi divertii affatto, a scattare foto a tutti i negozi del centro “bellamente” aperti. Via Indipendenza, via Rizzoli, via Ugo Bassi: porte spalancate, gente che entrava, commesse e commessi (ma soprattutto commesse) pronti a servire, gente che usciva tenendo in mano sacchetti, borsine, borse. Pubblicai le insegne dei negozi sulla mia bacheca di Facebook, giusto per fare una piccola denuncia,  per manifestare il mio disappunto. A parte altre considerazioni etiche (sulla spinta al consumismo, sulla gestione quasi imposta del tempo libero ecc.),  mi sembrava e mi sembra  una bestemmia vedere lavorare quelle giovani ragazze e quei giovani ragazzi  nel giorno della festa dei lavoratori. Se è festa, lavorare non si deve, no? Altrimenti ci troviamo davanti a un altro ossimoro. E non è solo questo, che mi fa arrabbiare. Il fatto è che dietro a questi straordinari, perché di straordinari si tratta e come tali dovrebbero essere trattati da un punto di vista retributivo, forse tutto non è limpido.  Prelevo dal sito di  Adico (Associazione Difesa Consumatori) la denuncia di  F.L.,  una 32enne  di Mestre  che lavora in un negozio di abbigliamento all’interno di un centro commerciale. “La donna – assunta con contratto a tempo indeterminato – è una neo mamma, e tra poco meno di due mesi dovrà rientrare al lavoro al termine della maternità. Per poter conciliare le esigenze famigliari con quelle lavorative, F.L. ha chiesto al datore di lavoro che le concedesse il part-time. «Apparentemente sembrava che la mia richiesta fosse stata accettata, visto che il titolare mi ha offerto un part time orizzontale da 20 ore – racconta la commessa – ma lavorando tutte le domeniche. A quel punto sono stata presa dalla disperazione, perché questo vorrebbe dire sacrificare l’unico giorno della settimana in cui posso stare con la mia famiglia, visto che mio marito lavora dal lunedì al venerdì mentre io, comunque, già lavoravo anche il sabato. Mi sembra un incubo, non so cosa fare».”

Ricatti, quindi. E credo che siano molto più numerosi di quello che ci si possa immaginare. E anche sulle giuste retribuzioni ho molti dubbi.
Portare avanti una battaglia contro i negozi aperti alla domenica e in giorni celebrativi e sacri come dovrebbero essere il 25 aprile e il 1’maggio (e perché non a Natale, allora?)  mi fa sentire  come Don Chisciotte che combatte i mulini a vento, del tutto impotente, tanto più dopo aver letto che
“I negozi possono restare aperti di domenica. E le Regioni non possono reintrodurre un divieto che lo Stato ha invece rimosso. Lo precisa la Corte costituzionale che, con la sentenza n. 27, depositata poco fa ha bocciato la legge della Regione Toscana che, da una parte, ripristinava l’obbligo di chiusura domenicale per gli esercizi commerciali e, dall’altra, riaffidava ai Comuni la possibilità di fissare limiti agli orari di apertura e chiusura al pubblico dei medesimi esercizi. La competenza in questa materia, e cioè la tutela della concorrenza, spetta allo Stato e non certo alle Regioni. Che, almeno su questo punto, è la conseguenza della sentenza della Consulta, devono rassegnarsi”. (Dal Sole 24 ore del 22/2/2013).

Ma alla parola lavoro, oggi, nel terzo millennio, si può sostituire in molti casi, la parola schiavismo. E non solo nel lontano Bangladesh, dove, guarda un po’, non manca la responsabilità, anzi la criminale irresponsabilità, di aziende occidentali, non esclusa la popolarissima Benetton, ma anche qui, dal sud al nord dello Stivale. Dai raccoglitori di frutta e verdura, ai lavoratori dell’edilizia, agli operai che prestano la loro opera in piccole aziende semi-clandestine. Per lo più tutti immigrati senza permesso di soggiorno, disperati, assunti in nero, sotto-pagati e costretti a lavorare per ore e ore in situazioni disagiate e insalubri, e alloggiati, poi, in luoghi altrettanto insalubri e inadeguati.
Quando poi, addirittura, non vengono uccisi, come ci raccontano i Wu Ming, in un articolo apparso sulla Rivista Internazionale all’inizio di aprile:
“Anche agli inizi di aprile di tredici anni fa, la primavera italiana tardava ad arrivare.
Pioggia, vento, temperatura media appena sopra i dieci gradi.
Un tempo simile incombeva sull’ospedale di Sampierdarena, reparto grandi ustionati, mentre Ion Cazacu perdeva la vita dopo un mese di sofferenza.
Cittadino romeno, laureato in ingegneria, operaio edile in quel di Gallarate. Bruciato vivo dal suo datore di lavoro il 14 marzo 2000, per aver chiesto un contratto regolare, una paga migliore, diritti.
Cosimo Iannace, l’assassino, fu condannato a trent’anni in primo e secondo grado (evitando l’ergastolo grazie al rito abbreviato). Ma la cassazione annullò la sentenza per un “vizio di motivazione”. Tre anni dopo, la corte d’appello dimezzò la pena: sedici anni. Cadde l’aggravante del “motivo abietto” perché l’omicidio era nato da questioni di lavoro, e dunque non aveva un movente “che suscita disprezzo in ogni persona di moralità media”. Oggi Iannace è in regime di semilibertà, mentre la vedova e le figlie di Cazacu lottano ancora per avere giustizia.”

E se  non vengono ammazzati direttamente dal datore di lavoro (quello di Gallarate è senz’altro un caso limite) quanti rimangono uccisi perché lavorano in un ambiente dove le norme sulla sicurezza non vengono applicate?  Tanti, troppi. Come attestano i curatori dell’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro: “Dall’ 1/1/2008 giorno di apertura dell’Osservatorio a oggi 2013 sono morti per infortunio sul lavoro oltre 5000 lavoratori di cui 2553 sui luoghi di lavoro e gli altri sulle strade e in itinere. Un’autentica carneficina che purtroppo viene sottostimata dalle statistiche ufficiali e ignorata dalla politica che potrebbe fare moltissimo, e con poche risorse, per far diminuire drasticamente questo fenomeno che ci vede primi in questa triste classifica in Europa, dove i morti sono mediamente un terzo di quelli italiani”.
Beh, quei lavoratori non potranno certo festeggiare, oggi, dato che di lavoro sono morti, e non festeggeranno certo le loro famiglie. Come non potranno festeggiare tutti quei lavoratori morti per aver lavorato all’Ilva, e in tutte quelle zone intossicate dall’amianto o da altri letali veleni.

Ken Loach, regista di film che da sempre hanno raccontato con reale spietatezza la situazione della classe operaia, interrogato da La rassegna.it su questo tema, dice: “Gli attacchi contro la classe operaia si stanno verificando in tutta Europa. La disoccupazione di massa, la riduzione delle prestazioni di welfare, la mancanza di sicurezza in ogni aspetto della vita – tutto questo richiede una risposta. I vecchi partiti del centrosinistra sono ormai compromessi dal  loro sostegno al programma di austerità. La loro idea di un capitalismo compassionevole che può essere realizzato per lavorare nell’interesse di tutti è chiaramente una truffa. Come era prevedibile, di fronte a questa verità, si sono allineati con i partiti della destra. Abbiamo bisogno di ricominciare da capo. Abbiamo bisogno di nuovi partiti della sinistra che capiscano e difendano gli interessi della gente comune. Dobbiamo unirci in questo progetto in tutta Europa. Possiamo avere successo solo se rendiamo una realtà questa ‘Internazionale!'”

E ancora mi chiedo dove sia, la Festa, cosa ci sia, da festeggiare…

Andrò comunque in Piazza, oggi. Una piazza particolare, in questo primo maggio 2013. Per la prima volta, nella mia amata Piazza Maggiore,  lavoratori e imprenditori saranno uniti nella protesta. E la stessa cosa avverrà a Treviso.  Mah…  Mi sento di essere d’accordo con queste dichiarazioni.
Anche se capisco benissimo che ci sono piccoli imprenditori disperati, e che bisogna ascoltare anche le loro voci: ma proprio oggi? E poi, in piazza, ci saranno davvero solo questi piccoli imprenditori, mi chiedo?
Ecco, concludo questo post lunghissimo, con un augurio: Buon primo maggio 2014! Sperando davvero che io possa ripetere questo augurio fra un anno, credendoci e senza ombra di amarezza. Ma così come stanno ora le cose mi sembra davvero, la mia, una speranza tenue, molto tenue.
Vi segnalo anche un sito magari può essere una maniera, seguendo quello che vi si racconta, di fare in modo che qualcosa cambi (grazie alla Redazione di Tutta la città ne parla, per averne parlato): Abiti puliti.

La ballata del precario

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8 risposte a Dov’è la Festa?

  1. maria ha detto:

    Complimenti per questo post Milvia, di una limpidezza e semplicità esaurienti. Sul tema di cui tratti è inutile che io commenti, hai già detto tu e qualsiasi considerazione sarebbe una ripetizione.
    un bacio
    maria

  2. Anonimo ha detto:

    Le forze democratico-progressiste, le vere artefici della sconfitta del comunismo, devono puntare a prevalere anche sulle aberrazioni capitalistiche, per costruire una società veramente giusta e comunque meno ingiusta possibile. Le dominanti forze economiche internazionali, con la complicità anche di organismi che dovrebbero essere imparziali (leggi Fondo Monetario Inrternazionale & Company), negli ultimi trenta anni sono riusciti a condizionare l’involuzione generale della società, attraverso il totem della globalizzazione, che ha comportato dislocazione di impianti, ricerca di aree col minor costo del lavoro (ossia più povere e ricattabili), minaccia continua di chiusura di aziende, speculazione finanziaria al posto della ricerca di qualità produttiva, concorrenza pilotata, sabotaggio del meritorio intervento pubblico nelle attività economiche attraverso politici corrotti, e l’elenco potrebbe continuare all’infinito. Rimangono sempre validi gli esempi del New Deal roosweltiano, del solidarismo cattolico-democratico, della socialdemocrazia e del laburismo del welfare (tutti ispirati al pensiero economico del grande Keynes), ossia le stagioni politiche che in occidente hanno saputo, sia pure tra mille difficoltà, coniugare lo sviluppo del benessere e della libertà di impresa con la tutela sociale delle classi meno abbienti e la necessità di un coordinamento pubblico dell’attività economica. Queste potrebbero sembrare chimere nella attuale incancrenita situazione dell’economia mondiale, ma non dobbiamo rinunciare alla speranza che queste idee e queste esigenze di giustizia possano nuovamente tradursi in concreti programmi di governo. Anche i nostri grandi sindacati sono chiamati a fare la loro parte per una rinascita del sentimento di dignità del lavoro, mortificato dalla disoccupazione e dal bisogno di sopravvivenza. Grazie Milvia, per averci ricordato queste tragiche emergenze, anche se le viviamo quotidanamente sulla nostra pelle. Giorgio ’62

    • Milvia ha detto:

      Grazie a te, caro Giorgio, per questo commento così profondo e lucido, che non ho niente da aggiungere. Grazie, anche, per l’invito alla speranza, anche se ogni giorno che passa dalla nascita di questo anomalo governo, mi ritrovo sempre più scoraggiata.
      Ciao!

  3. Mirella Giordani ha detto:

    Ancora non riesco a crederci, che dopo anni di dure lotte, oggi si sia ridotti in questo miserevole stato. Rabbia e indignazione mi soffocano. La debolezza della sinistra, soprattutto in Italia, ha toccato il fondo.e non riesco a vedere vie d’uscita. Non auspico una rivoluzione armata, perché sarebbero i deboli a pagare di più, molti fino a rimetterci la vita, con scarse contropartite per quelli che restano. La Resistenza insegni: ha dato tanto al paese, ma non ha che scalfito l’ingiustizia sociale.

    • Milvia ha detto:

      Mia Pasionaria Mirella, la tua rabbia e indignazione sono gli stessi sentimenti che mi fan venir voglia o di andarmene, o di rinchiudermi in un mondo tutto mio, in cui non mi giunga più nessuna voce, dall’esterno. La sinistra ha iniziato il suo suicidio già anni fa e dopo una lunga agonia si è (finalmente?) spenta. L’alleanza con l’Innominabile è stato il suo degno funerale.

  4. lucarinaldoni ha detto:

    Questo strano surreale 1° maggio in cui il Lavoro è stato festeggiato quasi in contumacia mi porta ad evocare uno strano apologo. Ogni riferimento alla realtà dei fatti potrebbe essere puramente casuale, oppure no.

    Venticinque anni fa circa, come risvegliatasi da un sogno/incubo che aveva condizionato le menti e le emozioni di una fetta importante di esseri umani, l’Umanità aveva quasi all’unisono dichiarato “L’utopia comunista è morta. In nessuno, dicasi nessuno, dei paesi dove sono stati sperimentati sedicenti regimi comunisti si è mai realizzato nulla che assomigliasse anche lontanamente alla dittatura del proletariato. Ciò a cui si è ivi assistito è stata la diffusione di una omogenea miseria dalla quale però si salvavano, conducendo una vita agiatissima, i burocrati di partito e i loro protetti artisti e sportivi che potevano esportare con la loro opera e le loro gloriose vittorie l’approssimazione al sorgere del sol dell’avvenir; la perdita di ogni possibilità di libertà di pensiero, di parola, di azione, di dissenso, di dire fare baciare lettera testamento; la sistematica persecuzione dei dissidenti (che nella culla del socialismo reale ha assunto un trend che nulla ha da invidiare all’Olocausto perpetrato dai nazisti, anzi quasi sicuramente lo supera quanto a numeri assoluti). Cadano dunque i muri, vengano restituite ai cittadini le libertà, si sostituisca ad una miseria generalizzata un sistema che prometta, da provetto marinaio, il benessere a tutti per mantenere la promessa solo a beneficio di una casta non più di ottusi burocrati politici ma di astuti trafficanti economico-finanziari. Trionfi ovunque il libero mercato.”.

    Ora, per carità, nessuno vuol confondere la cronaca con la storia, ma non è che l’utopia capitalista sia ancora più perversa e perniciosa di quella comunista? E quanti altri quarti di secolo dovranno aspettare i nostri figli e nipoti per vederla finalmente e giustamente sconfessata?

    State bene.

    Come mai oggi nessuno

    • Milvia ha detto:

      Il trionfo del libero mercato si sta rivelando assolutamente fallimentare. Solo che abbatterlo sarà difficilissimo, perché, mi vien da dire, siamo tutti (o quasi) affetti dalla sindrome di Stoccolma, e ci siamo innamorati del nostro aguzzino. E alla tua domanda, caro Luca, non so proprio rispondere.

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