Que reste -t-il (ultima puntata)

Riassunto delle precedenti puntate

Nicola, avvertito da una telefonata che sua moglie Valeria è morta in un incidente stradale, arriva nella città dove Valeria si è trasferita per lavoro. Il dolore della perdita viene quasi sopraffatto dalla rabbia, nello scoprire che  sua  moglie aveva un amante, un ragazzo molto più giovane di lei. Cosa avverrà ora che Nicola e il giovane Dario si trovano faccia a faccia?

Dario guarda fuori dalla finestra, le mani infilate nelle tasche dei jeans.
Tutto, all’esterno –la fila di auto parcheggiate, l’insegna rossa del bar Mondo con la d buia, i tre cassonetti dell’immondizia, il muro bianco dall’altra parte della strada dove qualcuno ha scritto io mi chiamo fuori- è come ieri. Tutto, dentro di lui, ora è cambiato.Gli sembra di aver lasciato sotto quellenzuolo gelido l’intero suo respiro. Come un’onda la domanda e adesso? si infrange sul vetro della finestra e gli ritorna nella testa.
Cerca di catturare un frammento del sorriso di Valeria, di incollarselo negli occhi. Ma l’immagine che gli è rimasta fissata nelle retina è quella di una forma immobile, livida, una geometria imperfetta di linee sghembe. Non Valeria, i suoi occhi, la magia delle sue dita che gli percorrono il corpo, leggere come ali di farfalla, Valeria l’amante gioiosa, Valeria la recipiente, Valeria l’ascoltatrice.
E adesso?

Gli anni dell’infanzia di Dario. Passetti a inseguire sua madre lungo scale, di camera in camera, in stanzette da bagno tutte uguali permeate dall’odore di lisoformio, nella vasta cucina con i minacciosi pentoloni fumanti, così grandi che ti potevano inghiottire.
Mamma, posso dirti una cosa?
No. Non vedi che ho da fare?
Attese sfibranti ad aspettare il padre, che finisse di compilare le ricevute fiscali, che salutasse i clienti, che facesse gli ordini ai fornitori, che urlasse addosso all’ultimo cameriere assunto.
Babbo, mi ascolti un momento?
Più tardi. Domani. Stasera. Ma non ci sono i cartoni in televisione?
Poi qualcosa era cambiato: la pensioncina in Versilia era stata venduta, e i suoi avevano preso in gestione un albergo a Lugano. Dario era stato mandato in città, nella casa della nonna.

La nonna ha tempo, ore e ore a parlargli, a raccontargli storie di cieli neri di aerei, di giovani ragazzi nascosti in montagna, del nonno così alto che quando era morto avevano dovuto fargli una bara su misura, dei magici querceti delle sua lontana infanzia. Parla, la nonna, e Dario ascolta attento. Ma non riesce mai a trovare una breccia, in quella lunga sequela di ricordi, per raccontare di sé, e tirar fuori tutti i suoi pensieri che stanno lì compressi, affamati di aria.

E, più avanti nel tempo, gli amici, le ragazze: lo ascoltavano un poco, poi si distraevano: lui ha un linguaggio alieno, per loro, parla di poesia e di sfere celesti, del pensiero di uomini morti più di mille anni fa, di dimenticati eccidi di monaci tibetani, di multinazionali che distruggono il mondo. Gli amici lo guardavano, un piccolo sorriso di sufficienza e impazienza non troppo mascherato. Poi attaccavano a parlare dell’ultima discoteca aperta in collina, e lo lasciavano lì, ammutolito e frustrato.
Fra le braccia delle ragazze aveva imparato a comunicare attraverso umori e sapori di pelle. Loro lo ascoltavano, finalmente: ascoltavano il movimento del suo corpo, rispondevano con sollecitudine a quel fraseggio senza parole. Lo cercavano. Lo volevano.
Forse qualcuna Dario l’ha anche amata. Anche a sua nonna  ha voluto molto bene. Ma quel vulcano che aveva  dentro non era mai riuscito a trovare uno sfogo.

Poi, una mattina, era arrivata Valeria.  Valeria l’ascoltatrice.
Fin dal loro primo incontro ha notato i suoi occhi, l’attenzione con cui lo osservava.
Lui aveva cominciato a parlare, le aveva raccontato del suo amore per i libri, dei suoi lavori, della nonna, della vita misera degli immigrati. E lei ad ascoltarlo, accogliente, attenta. A lui era tremato il cuore, così, all’improvviso. E assurdamente aveva sentito all’inguine un guizzo di desiderio per quella donna così composta, così più grande di lui da poter essergli madre. Non era ancora amore. Quello sarebbe arrivato poco dopo, travolgente, totalizzante. E il vulcano avrebbe allora preso a fumare, a buttare spruzzi di lava, in un’eruzione costante ma tranquilla. C’era tanto di quel tempo per essere ascoltato…

****

Anche così, di spalle, il ragazzo ha l’aspetto di una persona totalmente desolata.
Nicola, mentre si vestiva, ha preparato un discorso, ha pensato a quello che deve dire, alle eventuali risposte, ma ora nessuna parola riesce a uscire dalle sue labbra. Tossicchia, per indicare la sua presenza. Il ragazzo si gira lentamente, poi allarga le braccia, e scuote piano la testa, come a dire: e ora?
Nicola abbassa gli occhi, non sopporta lo smarrimento che riempie lo sguardo del ragazzo. Sussurra:
“Preparo un caffé.”
E si avvia in cucina.
Trova il barattolo sul ripiano vicino al tavolo, la moka è nello sgocciolatoio sopra il lavello. Mette a scaldare un po’ di latte. Gli stessi gesti di ogni mattina, ma in una casa diversa.
“ Zucchero?”
“Sì, grazie.”
Si sono seduti al piccolo tavolo della cucina, uno di fronte all’altro. Mescolano lo zucchero nel caffelatte, e solo il rumore circolare del cucchiaio che batte sulle pareti delle tazze infrange il silenzio.
Poi Dario comincia a parlare.
“Sono stato con lei fino a ora. Fuori, nel corridoio. Non hanno voluto lasciarmi stare dentro. Hanno detto che è contro i regolamenti, che a una certa ora devono chiudere. Quando nel pomeriggio ho visto che non arrivava alla biblioteca ho provato a telefonarle, ma mi dava occupato. Sono tornato a casa e lei non c’era. Sono stato ad aspettarla qui per ore, poi sono uscito. Ero preoccupato. Sono sempre preoccupato, ultimamente. Ho paura che se ne vada.”
Si interrompe, si passa una mano sugli occhi, poi riprende:
“ Poi, proprio mentre stavo rientrando, mi ha telefonato Amed. Lavora in ospedale. Ha letto il nome di Valeria in un rapporto del pronto soccorso. Ho sperato in un errore, fino all’ultimo ho sperato”.
Da per scontato che io sappia, pensa Nicola.  Che io sappia di loro, di tutta la loro storia.
Come se fossi un amico, un parente. Sta quasi per chiedergli rabbiosamente: ma lo sai chi sono? Ma sa che sarebbe solo una domanda sciocca. Ascolta il ragazzo, e ascolta se stesso, indaga sui suoi sentimenti. Guarda il ragazzo, vede il suo volto stravolto, lo sguardo buio, ed è la pena che lo prende. Non rabbia, ostilità, gelosia. Piuttosto compassione, ecco.
“ E adesso? “ chiede il ragazzo, e gli punta addosso gli occhi, per la prima volta.
“ Sei fortunato.” vorrebbe dirgli Nicola “ A te passerà, sei così giovane. E una cosa, poi: non avrai rimorsi, non dovrai vivere con il rimpianto del non detto, del non fatto. Non dovrai chiederti quando hai cominciato a sbagliare. La tua storia rimarrà integra, è questa la tua fortuna.”
E vorrebbe anche dirgli:
“Sai, Valeria aveva deciso di vivere con te, per sempre.” Ma questo non lo può proprio dire, Nicola, perché non lo sa, e perché vuole credere disperatamente un’altra cosa, invece.
“E adesso?” ripete il ragazzo.
Un figlio che vuole risposte rassicuranti, che cerca  un padre che gli disegni un orizzonte per proseguire il cammino. Un ragazzo, egoista come tutti i ragazzi, concentrato ora solo sul suo dolore.
Un ragazzo che crede di aver perduto tutto, e pensa di non avere futuro.
Un ragazzo che vuole essere consolato da chi è più grande e saggio, senza accorgersi delle ferite dell’altro, forse più profonde delle sue.
All’inizio la voce di Nicola esce strozzata, poi si riprende:
“ Fra poco me ne vado, prima devo scegliere un vestito, le cose da metterle addosso.”
Dario allunga un braccio sul tavolo,  le dita incerte quasi sfiorano la mano dell’uomo.
“Possiamo farlo insieme? ” C’è un tono di supplica nella sua voce.
Nicola si alza, gli gira le spalle, guarda fuori dalla finestra. Un sole brillante illumina gli alberi spogli.
Il silenzio è tagliente, lo spazio sospeso creato dalla domanda si allunga, si tende come un elastico, sta per raggiungere il punto di rottura.
“ Senti, fai tutto tu, allora. Forse è così che lei vorrebbe.” Le parole gli escono veloci dalle labbra.
Non sa perché ha dato quella risposta. E’ comunque consapevole che ci saranno incombenze che non potrà, non vorrà lasciare all’altro.
Sa solo che ha una grande confusione nella testa, con sentimenti di pietà e di rabbia che si alternano come sprazzi di luce si alternano al buio, in un temporale notturno.
E’ esausto. Desidera lasciarsi alle spalle al più presto questa situazione assurda, assurda come il  sole di stamattina che violenta il grigiore dell’inverno.
Vorrebbe ritornare fin da ora a rifugiarsi negli odori conosciuti di casa sua e mimetizzarsi nell’incolore  sicurezza degli oggetti che abitano ormai da tempo quello che resta della sua vita. Ma è cosi stanco…
Ritorna al tavolo. Prende la tazza e il cucchiaio con cui ha fatto colazione e li lava, li asciuga con cura. Mentre sta per riporre la tazza nel mobiletto allenta la presa e la stoviglia cade sul pavimento. Nicola si china a terra: i cocci sono di un bel giallo brillante, punteggiati da piccoli fiori viola. E’ desolato, quasi avesse distrutto una preziosa opera d’arte. Li tocca, quei piccoli pezzi di ceramica grossolana, li sposta, come se cercasse di comporre  un puzzle.
Ricomporre ciò che era, ri-costruire.
Il pianto arriva come un’onda alta. Si siede a terra, le ginocchia premute contro lo sterno, le braccia che cingono le gambe, le spalle che sussultano. Ha un male orribile dentro al petto, un dolore fisico insostenibile. Sono tutte le scorie, i sedimenti, gli errori, i tradimenti di una vita che con violenza  se ne scivolano via con le lacrime, e  uscendo urtano zone sensibili, che non sapeva più di avere.
Avverte appena il passo leggero di Dario che esce dalla cucina.
Mentre il pianto si fa a poco a poco più quieto, Nicola sente sui capelli il gradevole tepore del sole che è riuscito a penetrare attraverso i vetri della finestra. Alza il viso: un pettirosso saltella sul davanzale, il petto colorato ben in mostra. Valeria sosteneva che i pettirossi preannunciano la neve, rammenta Nicola, e una sorta di sorriso gli si affaccia sul volto.

Un vento teso si è alzato all’improvviso, e ha portato nella stanza il fischio di un treno che parte. O forse arriva.

Morire d’amore (Charles Aznavuor)

 FINE

Il mio lungo racconto è giunto (finalmente, state dicendo?) alla sua conclusione. Il dubbio che avevo espresso all’inizio che i post troppo lunghi vengono… bannati, ha trovato conferma. Ringrazio TADS e Luca (che ha letto tutte le cinque puntate!) che hanno commentato (Luca ti rispondo domani, perché adesso i miei neuroni sono già andati a dormire).  Va beh, si scrive per gli altri, ma anche per se stessi (citazione capovolta).

 

 

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6 risposte a Que reste -t-il (ultima puntata)

  1. lucarinaldoni ha detto:

    L’incontro fra Nicola e Dario non può non ricordare quello fra Mattia Pascal e Gerolamo Pomino che ha sposato la sua vedova. Mattia vorrebbe urlare, sbraitare e vendicarsi ma poi si limita a farlo con la suocera mentre alla fine “assolve” il rivale. E nell’assolverlo non può che condannare se stesso.

    Alla fine solidarizzo con Nicola, che precedentemente avevo definito “poco brillante” e probabilmente lo era stato, ma che nel suo pianto disperato lava via colpe e rimorsi e in qualche modo si purifica. Ora ha capito tutto ma è decisamente troppo tardi.

    Giustamente tu non giudichi, non assolvi e non condanni, metti in scena le tue “maschere nude” e lasci che il lettore entri in risonanza come ritiene più opportuno. Come riesci a planare intatta sopra la retorica, ci riesci anche col moralismo.

    • Milvia ha detto:

      Il doppio riferimento a Pirandello mi onora…
      E mi piace in particolare l’ultima parte del tuo commento: credo che il compito di uno scrittore (anche se io fatico a collocarmi in questa categoria) non sia quello di giudicare, di lanciare messaggi, più o meno moralistici, o di emettere sentenze. Anche per questo motivo molti miei racconti hanno il finale aperto. È il lettore che, se vuole, deve giudicare, o deve accompagnare i personaggi verso la loro destinazione.

      • lucarinaldoni ha detto:

        Effettivamente l’arcipelago mediatico pullula e gorgoglia di “opinionisti” in servizio permanente effettivo che direbbero la loro anche pagando di tasca propria, e invece per le proprie “tavanate galattiche extralarge” vengono perfino profumatamente pagati. Ho citato Pirandello perché Elsa Morante mi sembrava ancora un po’ poco come parallelo artistico, ma anche perché nei miei gioiosi studi liceali mi aveva colpito questo eretico che entra prima nella struttura-romanzo e poco dopo nella struttura-drammaturgia per ripulirle di tutto il moralismo didascalico di cui entrambe, fino a quel momento, trasudavano per costruire personaggi e trame che lasciano largo spazio al lettore per l’immedesimazione e il giudizio. E Mattia Pascal, tallonato a ruota dal padre dei Sei Personaggi, è personaggio emblematico in tal senso.

        Nel XXII secolo credo che fioccheranno le tesi di laurea su Nicola, su Angelo dei bambini, sul regalatore di libri e sull’anziana signora che regala dolcetti in incognito. Se non succederà, vuol dire che non hanno capito nulla.

  2. Mirella ha detto:

    Lo conoscevo già, ma l’ho riletto con la stessa emozione della prima volta. E con la medesima ammirazione per l’autrice, che riesce a farci immedesimare nei suoi personaggi, che spiccano vividi e veri grazie alla sua abilità e sensibilità di scrittrice.

    • Milvia ha detto:

      Eh, lo credo che lo conoscevi già… A parte La veglia ho solo racconti scritti anni fa… La tua amica, Mirellina, e poco prolifica. Sono contenta, e tanto, che il racconto ti piaccia ancora. Grazie e un abbraccio.

  3. Milvia ha detto:

    Luca Rinaldoni!!!! (ti rispondo qui, perché WordPress non mi da diritto di replica al tuo commento). Luca Rinaldoni!!!!!, dicevo. E se io cominciassi a crederci, alle opinioni che esprimi sulla mia scrittura, e se così diventassi una persona presuntuosa, vanitosa, piena di sé, tipo “lei non sa chi sono io”, vanesia, arrogante, boriosa, supponente e quant’altro 🙂 ? Una che poi, quando uno fa una critica negativa al suo libro, fa un esposto alla Magistratura? Eh, e se io poi diventassi così? Avresti sulla coscienza la mia metamorfosi, Luca Rinaldoni!!!
    Comunque, un abbraccio. E anche un grazie.E ciao.

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