Perdere il lavoro

Diversi anni fa Massimo Ranieri cantava:
Perdere l’amore quando si fa sera

Mi permetto di sostituire, per la mia riflessione di oggi, il vocabolo “lavoro” alla parola “amore”.
Lo sconforto espresso dalla canzone per la perdita di un amore, quando “tra i capelli un po’ d’argento li colora”, mi fa venire in mente la profonda desolazione che un uomo o una donna di più di cinquantanni  provano quando subiscono un licenziamento.
I giovani non hanno futuro, si dice. E in parte è vero: le nuove generazioni sono costrette ad accettare lavori precari, con stipendi irrisori, e le difficoltà a costruirsi una famiglia sono enormi. Però di anni, davanti a loro, ne hanno ancora tanti, e possono sempre sperare che (e agire in modo che) la situazione cambi. Una possibilità di futuro, quindi, esiste.
Ma che futuro possono avere un uomo o una donna che a più di cinquant’anni si trovano improvvisamente senza lavoro? Quali possibilità di trovarne  un altro? Zero, mi vien da dire.
Forse sbaglio, ma credo che il problema centrale  non sia  quello economico, o, più precisamente, credo che al problema economico se ne affianchi un altro, forse ancora più distruttivo: l’umiliazione. L’umiliazione di vedere azzerate le proprie competenze accumulate in anni  e anni di lavoro; l’umiliazione per quella porta che  si chiude definitamente,   e per le tante porte che verranno  loro sbattute in faccia.
Il disagio economico, pur a fronte di enormi sacrifici, si può anche superare. Ma il disagio di vivere in preda a uno stato d’animo che è uno fra i più brucianti, lo vedo come un ostacolo insormontabile. Inventarsi un nuovo lavoro, alcuni suggeriscono. Certo, qualcuno se lo inventa, un nuovo lavoro, e magari gli va anche bene. Ma pochi hanno la forza di farlo. E non mi sento certo di condannarli.
Il far niente, in queste situazioni,  non è certo dolce, ma è un boccone avvelenato, che un sistema ammalato di cinismo ti costringe a ingoiare.  E credo che molti suicidi, fra le persone che perdono il lavoro a più di cinquant’anni, siano dovuti proprio alla difficoltà di accettare che all’improvviso non sei più nessuno, che le tue qualifiche sono diventate carta straccia, che l’esperienza che ti sei fatto in fabbrica, in un ufficio, nell’azienda dove hai trascorso buona parte della tua vita, non ti serve più a nulla, perché non interessa a nessuno.
E se i  giovani, in questo contesto,  conoscono la rabbia, i non più giovani conoscono l’umiliazione. La rabbia può essere, se ben gestita, un motore per il cambiamento. L’umiliazione è un terreno di sabbie mobili, e basta.

Rubacuori (Tiromancino)

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8 risposte a Perdere il lavoro

  1. Franz ha detto:

    Considerazioni di un giusto realismo, nella loro amarezza.
    L’attività lavorativa occupa una porzione preponderante della vita individuale, nel nostro modello di società, e già questo sarebbe un aspetto molto discutibile; il fatto poi che la stessa società ti estrometta dall’agone da un giorno all’altro, dopo tanti anni di continuità, rappresenta una brutalità violenta e profonda.
    Vedremo tempi migliori?

    …Nell’attesa, un salutone di buon fine settimana.

    • Milvia ha detto:

      La speranza di tempi migliori, caro Franz, come tu mi hai più volte detto, non ci deve mai abbandonare.
      Hai fatto bene a evidenziare quanto il lavoro fagociti una grande parte della nostra vita (che bello se si potesse realizzare la proposta di Silvano Agosti, che sogna un mondo in cui il lavoro occupi solo tre ore della nostra giornata…). Ci sarebbe lavoro per tutti, e indubbiamente più felicità nel vivere quotidiano. Ma così non è e non sarà mai. La nostra società è volta al raggiungimento del profitto che favorisce pochi, e i licenziamenti non ne sono che il brutale (e inaccettabile) strumento.
      Buon fine settimana anche a te.

  2. lucarinaldoni ha detto:

    Ero tentato di saltare il commento a questo post per tanti motivi facilmente immaginabili sia da chi mi conosce che da chi non sa nulla di me. L’argomento riguarda, abbastanza trasversalmente, milioni di persone (se contiamo anche figli e coniugi dei diretti interessati), è un’oscena pestilenza che ammorba questo Duemila che si immaginava tempio del progresso e del benessere e invece sta rivelando ogni giorno di più il suo legame col Medio Evo più oscuro.

    Commentando da Franz ho già espresso, però, uno sprazzo di incontrollato e forse illogico ottimismo: il Medio Evo vero è proprio è durato 1016 anni, questo secondo Medio Evo (che per certi versi potremmo far partire dalla crisi energetica del 1972-73) ne durerà sicuramente molti di meno perché la velocità e la pervasività dell’informazione e delle idee è esponenzialmente maggiore oggi di allora; e qualche segnale di rinascita, anzi diciamo pure Neo-Rinascimento, in questi ultimi mesi ci sono stati, ovviamente tutti da parte della gente comune che in Nord Africa, in Grecia, in Spagna, in Italia mostra di aver capito che c’è da fare un sano e coerente passo indietro dai “falsi miti di progresso”, Mentre i potenti, loro no, probabilmente sanno che la pacchia è finita e proprio per quello ci danno dentro ancora di più coi loro immondi giochi di potere.

    Mi sembra che, a partire dal desiderio di non dire nulla, ho detto anche abbastanza.

    Ovviamente mi ritrovo in pieno nelle tue parole fino all’ultima virgola.

    Un abbraccio.

    • Milvia ha detto:

      Carissimo Luca, capisco molto bene la tua iniziale ritrosia a commentare questo post.
      Ma sono molto contenta che alla fine tu abbia lasciato qui, ancora una volta, le tue parole. Mi sembra molto azzeccata la tua definizione di secondo-medioevo. Io, addirittura, mi ritrovo, a volte, a catalogare questi anni sotto l’etichetta di Invasioni barbariche. E non mi riferisco certo all’arrivo nel nostro paese di uomini e donne di altre culture , ma alle invasioni di barbari nostrani nelle nostre vite, nei nostri pensieri, di barbari che vorrebbero sottometterci imponendoci le loro idee balorde e incivili.
      Spero davvero di fare in tempo a vedere la nascita e lo svilupparsi di un neo-rinascimento. Per ora mi sembra che la gestazione della nuova era di cui parli sia alquanto difficile, e che le minacce di aborto siano ancora presenti. Bisognerà che tutti ci impegniamo per poter portare a termine questa gravidanza.

      Ricambio l’abbraccio, con l’affetto di sempre.

  3. Anonimo ha detto:

    Non guardo molto la tv, ma l’altro giorno da Santoro ho sentito la notizia che la ricchezza italiana è in mano al 10 per cento della popolazione e che questo 10 per cento possiede una ricchezza pari a 10 volte il nostro debito pubblico…………………………(è ancora una volta impotente la politica in questo?)…Ma non sarebbe il caso di mettere un tetto alla ricchezza? Ma mi domando come possono vivere sereni, questo 10 per cento, sapendo quanto sono vessati i loro concittadini per salvare l’economia di questo paese.
    Poi sulla 7 mi è capitato di vedere l’intervista ad un super ricco che vuole entrare in politica per paura che succeda come la rivoluzione francese……… veramente commovente!!!!!
    Naturalmente condivido il tuo articolo Milvia
    Giovanna Giordani

    • Milvia ha detto:

      Ben tornata, Giovanna, e grazie per le tue riflessioni.
      Credo che a quel 10% non interessi minimamente la situazione in cui vive la maggior parte degli italiani, né del debito pubblico. Se non sono sereni, ammesso che non lo siano, è solo per la paura di non riuscire ad accumulare ancora più ricchezza. D’altra parte, anche noi tutti, cittadini dell’Occidente, quanto ci preoccupiamo del fatto che, consumando sfrenatamente cibo e risorse energetiche, costringiamo all’indigenza buona parte della popolazione mondiale?
      Buona domenica, Giovanna.

  4. Mirella ha detto:

    Il lavoro, i diritti dei lavoratori, il welfare, l’assistenza sanitaria sono stati e continueranno a essere pesantemente erosi, in qualche caso del tutto negati.
    Fino a quando? Fino a quando dovremo sopportare tutto questo?
    Ricette io non ne ho e purtroppo di convincenti pare non averne nemmeno chi averne dovrebbe, chi ci governa (e qui l’amico Luca citerebbe il Guccini di Dio è morto “… una politica che è solo far carriera”).
    Io so soltanto che l’ingiustizia e l’iniquità la fanno da padrone, oggi più che mai, e che è ora di dire basta. Basta ai costi spropositati di una politica inetta e corrotta, succube quando non connivente coi poteri forti, basta con la vergognosa macelleria sociale attuata nei confronti dei più deboli.
    Non smettiamo di denunciare, e – nei limiti delle nostre possibilità e coi mezzi che ci sembrano più opportuni e efficaci e praticabili – di opporci a questo caso di cose.

  5. Milvia ha detto:

    Assolutamente in sintonia con il tuo sfogo, Mirellina.
    E mi fa piacere, anche, che non ti limiti a stigmatizzare le nefandezze che ci vengono imposte, ma che tu abbia messo in risalto il desiderio, la volontà, di continuare a combatterle.

    Un abbraccio.

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