Non possiedo automobile (anche per scelta) e per i miei spostamenti in città mi servo quasi quotidianamente dell’autobus.
Ho sempre un libro, a farmi compagnia, ma a volte, e ne ho già scritto, in questo blog, la mia attenzione viene catturata dalle conversazioni che si dipanano intorno a me. Assurde, qualche volta, o dolorose, o assolutamente imbecilli. Mi verrebbe da intervenire, ad ascoltare certi discorsi, ma raramente lo faccio. Vigliaccheria, forse, o forse timidezza, o, semplicemente, la consapevolezza che non sarà certo un mio intervento che cambierà la mentalità dei miei compagni di viaggio.
Riporto qui alcune di quelle conversazioni, ascoltate qualche giorno fa.
Due donne abbastanza giovani. Intuisco, ascoltandole, che i loro figli frequentano forse le medie. Sono italiane, parlano con proprietà di linguaggio, sono piuttosto eleganti, forse hanno un diploma di scuola media superiore.
A: Allora cosa ti hanno detto, al colloquio, gli insegnanti di tuo figlio?
B (un po’accigliata): Che la classe è un disastro. Che questi ragazzini non leggono, e che dobbiamo collaborare con loro in modo che i nostri figli leggano, hanno detto che dobbiamo portarli in biblioteca. Ma hai capito??? Noi dobbiamo pensarci! Deve essere la scuola a farlo! Figurati se io dico a mio figlio che lo porto in biblioteca! Roba da matti!
A: Hai ragione! A questa cosa ci deve pensare la scuola, mica noi genitori… Anche mio figlio non legge, ma non è colpa nostra. Se gli dessi un libro in mano… me lo sbatterebbe in testa , conclude A con una risatina.
Reprimo tutte le parolacce che stanno per uscirmi dalla bocca. Per fortuna, ancora una fermata e scendo.
Tre ragazzine, avranno sui diciassette anni, vestite come tutte le ragazzine. Una morettina, graziosa, con i capelli neri e ricci, sta parlando a voce piuttosto alta con le sue amiche:
E pensate che lui mi ha fatto perdere il mio migliore amico, che lo conoscevo da quando ero piccola. Ha detto che non lo devo più vedere. È geloso marcio. Mi ha anche preso il telefonino e ha cancellato dalla rubrica tutti i nomi dei maschi
Ecco, avrei dovuto avvicinarmi alla ragazza e dirle: lascialo perdere… Uno così devi solo mollarlo. Avrei dovuto avvicinarmi e dirglielo, ma, sotto la sua apparente indignazione, mi è sembrato di avvertire, nel suo tono, un certo compiacimento. E di percepire, nel silenzio delle amiche, una sorta di invidia. E allora ho pensato: andate verso il vostro destino, ragazze.
Una ragazza parla al cellulare. È italiana, dai venticinque ai trenta, mi sembra. È arrabbiata, o disperata, o rassegnata, forse, anche se il tono di voce è amaro:
Sì, hai capito, me ne vado. Me ne vado da questo paese di merda, sono stufa di cercare lavoro e non trovarlo, e quando lo trovo non è mai un lavoro sicuro, non sai mai quanto dura. Mi sono laureata per un cazzo, io in Italia non ci voglio più stare.
La sua voce aumenta di tono a mano a mano che la telefonata prosegue. Mentre scende dall’autobus penso che le avrei potuto dire qualcosa, o fare un gesto, che so, metterle una mano sul braccio, così, come per dire: Sono solidale con te. E poi dirle… Ma dirle cosa? Fai bene ad andartene, oppure dirle, stringi i denti e rimani? Ecco, non saprei dirle niente, neppure se fosse qui ora davanti a me. Perché una risposta, alla sua amarezza, alla sua rabbia, alla sua rassegnazione, non ce l’ho.
Magari il gesto, sì, quello lo farei.
E dopo un post un po’ amaro, dove ho riportato fotogrammi sonori rappresentativi di un paese che non va, ci vuole, io credo, un inno alla speranza (utopistico più che mai?). E poi mi preparerò per uscire e salire sull’ennesimo autobus.
neanche io ho parole, che non siano state già dette, ti mando solo un saluto ed un abbraccio
maria
Ricambio con affetto il saluto e l’abbraccio.
Siamo circondati dall’ignoranza, dalla tracotanza, dall’approssimazione. Intanto è vero, siamo una civiltà rumorosa senza il senso della privacy e del decoro, in cui si chiacchiera e si telefona senza avere più la percezione della sacralità della sfera privata propria ed altrui.
Ma, verrebbe da dire, “questo è il meno”. Transeat.
E’ che i contenuti che registriamo da queste plateali egocentriche affermazioni delle proprie problematiche sono improntati o alla placida ebetitudine di chi sta dentro questi anni come “un pisello nel suo baccello”, o alla molto meno placida esasperazione/disperazione di chi sta nel mondo come in un treno degli orrori, col macchinista morto, i comandi guasti e la velocità che aumenta ogni momento di più ma, apparentemente, non per portare i viaggiatori in qualche stazione ma per mandarli a sfracellarsi contro il futuro.
Potrei aggiungere altro ma credo che il pensiero sia già ben concluso in se stesso anche così.
Anche qui, come da Franz, il mio nome è venuto fuori con quella elle finale che fa tanto prodotto detergente. Cosa sarà mai successo non lo so.
Beh, un prodotto detergente può essere anche utile: per esempio detergere le lenti che ci impediscono di avere una visione chiara delle cose, è cosa buona e giusta…
Ciao, Luca Rinaldoni ora senza L! (mi viene in mente il PD-L!!!)
A volte mi vien da pensare che sia stato sempre così, che di ebetudine ci siamo sempre nutriti. Forse, oggi, tutto viene amplificato grazie alle tecnologie… Ad aumentare, forse, è stata solo, è, la disperazione.
Buona domenica, Luca!
Anche se la reazione di fastidio, se non di sdegno, è comprensibile e sana, sono convinto che entrare in scena cercando di correggere chi si esprime in maniera fastidiosa sia controproducente, perché porta di solito l’interlocutore a un arroccamento sulle proprie posizioni.
Penso che l’unico modo efficace, per migliorare la realtà della gente che ci circonda, sia affinare le proprie capacità di seduzione, nel significato etimologico di ‘condurre a sè’; per farlo bisogna coltivare e saper mostrare il nostro aspetto migliore e più accattivante (e anche qui l’etimologia ci aiuta…), esercizio che in fondo è utile anche per noi stessi.
Un caro salutone.
Non avevo mai pensato all’etimologia del vocabolo “seduzione”.
Quindi non predicatori, ma… seduttori. Non aggressivi, ma assertivi. Sì, si può fare.
Un ciao affettuoso, Franz.